La scomparsa di Majorana nel racconto-inchiesta che Sciascia dedicò nel 1975 al fisico catanese
Data: Martedì, 26 novembre 2013 ore 07:30:00 CET
Argomento: Redazione


La funzione di chi scrive sarebbe fondata, durante l'epoca moderna, su quella sicurezza che ancora lotta di cui si parlava nell'intervento precedente. Si tratta di un convincimento costruito, il più delle volte, su una incrinatura, su un elemento dissonante a proposito del quale tantissimi intellettuali hanno detto la loro. Qui mi piacerebbe far riferimento al modo in cui essa viene congegnata nella Scomparsa di Majorana, bellissimo racconto-inchiesta che Sciascia dedicò nel 1975 al fisico catanese.
Sul 'caso' suscitato dal presunto suicidio di Ettore Majorana, avvenuto il 25 marzo 1938 sul postale che, da Palermo, avrebbe dovuto condurlo a Napoli, si è detto molto: anche recentemente si è creduto che una foto, scattata in Argentina nel 1955, potesse ritrarre il volto di Majorana, inducendo il procuratore aggiunto di Roma a condurre, nel 2011, nuove indagini. Del fascicolo fa parte anche la foto qui riportata che accompagna un articolo di Fiorenza Sarzanini pubblicato il 7 giugno di quello stesso anno sul «Corriere della Sera» e che attesterebbe il fatto che Majorana, assunta un'altra identità, si sarebbe stabilito in Sudamerica, proseguendo per conto suo le ricerche iniziate negli anni Venti presso il Dipartimento di Fisica di Roma. Le ipotesi sulla scomparsa del geniale scienziato seguono, come è noto, almeno quattro piste: esse portano in Sicilia, in Germania e, come si è visto, persino in Sudamerica; secondo Sciascia egli si sarebbe ritirato nella Certosa di Serra San Bruno in Calabria dove avrebbe incontrato un membro dell'equipaggio del B-29 che sganciò l'atomica su Hiroshima.

Alcuni aspetti della ricostruzione prodotta da Sciascia − senza doversi necessariamente curare della sterile e sin troppo dibattuta questione della sua veridicità − mi consentono di prendere spunto dall'inquietudine di Majorana per desumere una disposizione poetica che è possibile assimilare, forse neanche troppo sorprendentemente, a quella dello scienziato: «la scienza − avvisa Sciascia sin dalle prime pagine della Scomparsa −, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia» (l'edizione del racconto cui ci si riferisce è inclusa nel secondo volume delle opere curate per Bompiani da Claude Ambroise).

Il Majorana di Sciascia, senza alcuno sforzo di volontà, porta la scienza con sé, come se essa fosse «un segreto dentro di sé, al centro del suo essere» (p. 224) e non − come per Fermi e il suo gruppo − qualcosa da aprire o da svelare. È proprio in virtù di tale assetto, dotato di una misura imprescrittibile, che egli riesce ad avvertire «l'essenza reale del problema fisico» (p. 219): da un lato, ciò si appoggia su quell'innato senso di estraneità («che a volte arrivava ad accendersi in antagonismo», p. 223) che, secondo Sciascia, impedisce a Majorana di fare gruppo con gli altri scienziati dell'Istituto di via Panisperna (come si sa, sede del Dipartimento di Fisica a Roma); dall'altro, però, gli consente di riconoscere chi vive il problema della scienza in termini simili ai suoi, includendolo, cioè, «dentro un vasto e drammatico contesto di pensiero» (p. 238).
È quanto avviene, per esempio, in occasione dell'incontro a Lipsia nel gennaio del 1933 con Werner Heisenberg, fisico tedesco cui si deve la prima formalizzazione della meccanica quantistica ma anche, come già si è detto precedentemente, tra i primi a prendere coscienza del fatto che quanto si conosce può limitare ciò che si può conoscere. Sciascia racconta di come Majorana scrivesse di Heisenberg all'interno di quasi ogni lettera spedita ai genitori e di come il rapporto tra i due fosse condotto su toni amabili e improntato sulla collaborazione e su una stima reciproca che andava cementandosi anche in relazione agli orribili accadimenti che stavano avendo luogo in Germania proprio in quei mesi. Un rapporto − ed è facile intuirlo dal modo in cui di esso parla Edoardo Amaldi, fisico a sua volta, collaboratore di Fermi e biografo di Majorana largamente citato da Sciascia − che non si consumava soltanto sul piano della ricerca scientifica, contemplando, più di ogni altro, quello umano.

In fin dei conti, non mi interessa capire quanto Sciascia abbia messo di sé nel personaggio di Majorana; mi sembra, invece, utile precisare che il suo ritrovarsi in quell'uomo inadatto − se scienziato, folle o poeta poco cambia − non significa in alcun modo farne un modello atemporale sconnesso dalla realtà e posto fuori dal tempo; al contrario, vuol dire stabilire un modo, dissonante si è detto, in cui lo scienziato − o, è la medesima cosa, il poeta − possa stabilirsi nella realtà e reagire alla sua complessità per il tramite di un genio (quello di Majorana, quello di Heisenberg e, perché no?, quello di Sciascia) che, senza saperlo, si lega strenuamente alla vita come anche, superata la sua misura, alla morte.

Alessandro Gaudio - Ecodeimonti.it





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-2484142.html