E' morto Piero Sammataro. Grande attore e uomo, 'di tenace concetto'
Data: Lunedì, 25 novembre 2013 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


E' morto Piero Sammataro. Era un grande attore e un uomo, avrebbe detto Sciascia, "di tenace concetto". Formatosi alla “compagnia dei giovani” di Valli-Albani-De Lullo, era approdato al Piccolo di Strehler e infine al Teatro Stabile di Catania.
Un abbraccio fraterno alla compagna Carmelita Celi, giornalista e saggista. E qui di seguito, un ricordo: le parole che gli dedicai quando festeggiammo i suoi cinquant’anni di carriera, e che torno a dedicargli.
Piero al suo arrivo a Catania mi colpì certo per la sua bravura, ma anche per via di più segrete e profonde rispondenze. Non ricordo bene in che occasione siano scattate, forse era quel Servo di scena in cui giganteggiava alla pari di Turi Ferro, ricordo solo che conoscerlo significò per me riconoscerlo, identificarlo con un archetipo che dominava il mio immaginario, le mie predilezioni, le mie frequentazioni letterarie e cinematografiche.

Parentesi necessaria – e confessione forse inopportuna in un contesto di operatori teatrali: amo il cinema forse più del teatro, perché il cinema non delude mai, si può godere d’un capolavoro e ci si può dilettare della più ovvia serialità, si può apprezzare Bergman ma pure Casablanca o un western. Il teatro o ti esalta o ti delude, non tollera il mero diletto o peggio la gastronomia commerciale.
Ma questo è solo il mio punto di vista. Lo invoco per dire che in Piero riconobbi il mio eroe di cinefilo: il Philip Marlowe o il Rick Blaine di Humphrey Bogart, l’uomo solo e scontroso, in guerra col mondo, impersonato da Jean Gabin nei film di Marcel Carné, lo scettico viveur di Louis Jouvet, il malinconico sorriso di Montgomery Clift…

Do un taglio agli esempi rubati al cinema, che a un eccellente attore di teatro potrebbero apparire irriguardosi, ma che a me servono a ricostruire la genesi di un’opera nella quale molto mi sono speso ed esposto, tanto da averne quasi rimosso il ricordo a forza di routine universitaria, almeno fin quando questo gradito invito mi ha sollecitato a rievocarla.
Parlo di Casa La Gloria, quella pièce messa in scena nel ’92 dal Teatro Stabile di Catania per la regia di Lamberto Puggelli (anche lui recentemente scomparso) e che oggi, ripensandola, posso ben dire ispirata da Piero, dall’idea che la sua maestrìa di signore della scena teatrale potesse dare spessore di sentimenti e d’idee a quell’amato archetipo bogartiano, nonché dalla disponibilità e dalla passione d’una grande amica e grande attrice come Mariella Lo Giudice, che stasera purtroppo non è con noi a festeggiare Piero.

Casa La Gloria era, nella mia fantasticheria drammaturgica, una casa di riposo di vecchi scrittori e artisti siciliani, dove lo splendore e le miserie della nostra grande tradizione culturale s’incancreniva in bolsa enfasi, sordidi rancori, screzi cruenti. E appunto su un omicidio avvenuto in quella casa l’ispettore Valenti, cioè un Piero Sammataro in trench spiegazzato e dal volto segnato da lividi e carezze, era chiamato ad indagare. Ricordi, Piero? Entravi in scena replicando alla compiaciuta retorica dello scrittore Sinagra (“La villa degli incanti!”), e lui, flemmatico e smagato: “Quelli, lasciamoli da parte. Non lavoro al lunapark. Gli inganni, semmai: se ne può parlare. Me n’intendo un po’; e mi danno da vivere”. E ne usciva sconfitto, dichiarando morta l’innocenza. Forse è veramente morta l’innocenza. Tranne nell’attore che sa darle voce.

prof. Antonio Di Grado





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-2484126.html