Il Pol Pot che è in noi
Data: Martedì, 12 novembre 2013 ore 05:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Un'avvertenza: l'inizio è un po' duro, ma voi andate avanti...
Discutendo con un amico, ho avuto questa sortita: nella mia scala di valori i peggiori, gli ultimi sono i maschi adulti. Lui, maschio e adulto, mi ha detto che sono quasi come Pol Pot, il generale cambogiano delle grandi epurazioni. Naturalmente si scherzava, ma fino a un certo punto.
Io ho precisato che non ce l'ho con tutti i maschi adulti. Amo un maschio, adulto. Ho avuto un padre amatissimo. Ho molti amici maschi e adulti.

No, la mia è stata una semplificazione, una banalizzazione, una generalizzazione. Insomma io ho detto maschio adulto identificando in questa categoria la maggior parte di violenti, stupratori, assassini, prevaricatori esistenti sulla terra.

Non ditemi che ho torto!
Ci sono donne soldato, donne cecchino, donne che torturano, ma sono poche rispetto agli uomini. Non dico per loro migliore natura ma perché per ora questa è la realtà.

Bambini e animali sono i più importanti nella mia scala di esseri da salvare a tutti i costi. Ci sono, poi, appunto quasi tutte le donne. E naturalmente gli anziani, di entrambi i sessi, anzi gli anziani stanno appaiati ai bambini e agli animali. Ma un po' sotto.

Che scandalo! Una vecchietta sta sotto un cagnolino?
Sì, ma solo perché un animale è più innocente e più inerme.

E quindi se i maggiori portatori di violenza diventassero per un caso assurdo i bambini, loro sarebbero per me gli ultimi. Il punto è: chi fa più violenza oggi?

Cioè chi è il più forte?
Io pongo alla cima della mia scala personale di esseri viventi i fragili.
Gli altri non mi piacciono.

Ma pensandoci, non sono polpottiana. Perché ho in me una robusta vena evangelica, di cui sono molto contenta, secondo cui gli ultimi saranno i primi. Ecco i miei ultimi sono: i cattivi, i violenti, che in questo tipo di società sono per lo più i maschi e adulti, questi miei ultimi diventano però i primi, insomma mi fanno anche loro una pena infinita.

La dialettica vittima-carnefice è complessa; come dice già Simone Weil, l'uso della forza avvelena tutti e così il carnefice, il cattivo, quello che salverei per ultimo alla fine mi fa pena, lo compiango, lo compiango anche perché mi fa arrabbiare, perché arrivo a disprezzarlo, perché se potessi lo eliminerei dalla faccia della terra.

Nel mio presunto polpottianesimo non esisterebbe nessun campo di rieducazione, se esistesse oltretutto mi ci dovrei mettere anch'io. Infatti in ognuno di noi c'è della violenza, c'è della cattiveria, solo gli animali si salvano!

Quello che sogno, come molti altri credo, è un mondo senza violenza, non solo per amore delle vittime, ma anche per pietà dei carnefici.

Maria Rosa Panté
mrpante@libero.it





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