Un’altra idea di scuola per i minori a rischio
Data: Domenica, 03 novembre 2013 ore 08:30:00 CET
Argomento: Redazione


Raramente la scuola italiana si occupa dei tanti bambini che nel nostro paese sono a rischio di allontanamento dalle famiglie d’origine e di quelli “segnalati dall’autorità giudiziaria”; l’istruzione pubblica tende, molto spesso, ad ignorare questa spinosa questione, o, nel migliore dei casi, a delegare la “soluzione” ad altri. E sono solamente le strutture e gli istituti assistenziali privati ad occuparsi di questa fascia di minori e delle loro famiglie.
Credo, invece, che sia necessario il pieno coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, della scuola innanzitutto, in grado di poter prospettare delle risposte serie e risolutive, in sinergia con le forze sociali e del volontariato. Una nuova idea di istruzione pubblica che possa affrontare in maniera efficace il dramma dei molti “minori a rischio”.
Anche perché, ne sono convinto, gli istituti non sono in grado di dare risposte adeguate ai bisogni fondamentali del minore. Possono “appagare” il loro bisogno di protezione, di nutrimento, di avere un ambiente igienicamente adeguato che lo protegga dalle malattie. Ma l’istituto non è in grado di dare risposte esaustive al bisogno primario di un soggetto in età evolutiva: realizzare, in modo compiuto, il regolare processo di identificazione personale e di socializzazione. Nell’anonimo ambiente dell’istituto, infatti, non potranno facilmente realizzarsi rapporti affettivi strutturanti e identitari. Nella necessaria standardizzazione della vita della struttura, che deve essere fortemente organizzata, non vi sarà sufficiente spazio per una educazione alla libera creatività e alla capacità critica; nella conoscenza solo di persone adulte, aventi ruoli professionali ben definiti, mancherà al ragazzo la reale ed edificante esperienza di un dialogo interpersonale; nella inevitabile monotonia di una vita scandita di regole predeterminate, mancheranno stimoli a coltivare interessi essenziali per una adeguata crescita. Oltre alle gravi conseguenze sul piano individuale, che da soli meritano grande considerazione, occorre mettere in evidenza i danni sociali che derivano il ricorso all’istituto. Innanzitutto, il grave rischio di deresponsabilizzare i parenti e la comunità di appartenenza. Il bisogno assistenziale sorge all’interno della comunità e da esso va preso in carico. L’inserimento in istituto contribuisce a dissolvere ogni atteggiamento solidaristico. Nemmeno il volontariato, cui ricorrono in alcuni casi gli istituti, sembra in grado di uscire da una logica di beneficenza né di incidere seriamente nei processi di emarginazione che si compiono in istituto. Inoltre, la permanenza negli istituti comporta, molto spesso, che questi piccoli “cittadini” verranno abbandonati e dimenticati. E poi, più si mandano i bambini in istituto, più ne vengono mandati! Senza dimenticare che la logica del “ricovero” comporta un continuo aumento delle spese per i già magri bilanci degli Enti Locali. Infine, occorre ricordare che il ricovero è solamente un intervento tampone, non innesca, cioè, alcun processo che in prospettiva possa far diminuire le richieste.       Come uscire allora dall’istituzionalizzazione a convitto e a semiconvitto? L’auspicio è che si attivino degli strumenti adeguati per superare la logica dell’istituto, peraltro, prevista dalla legislazione italiana. Ma per avviare seriamente questo processo è necessario, innanzitutto, saper “ascoltare” i minori e le loro famiglie. Chiudere gli istituti in modo repentino e lasciare i bambini in balia di se stessi, in mezzo alle strade delle nostre città, non si configura come una soluzione ottimale.
È necessario, innanzitutto, attivare iniziative conoscitive che possono verificare la reale entità del fenomeno nelle sue diverse caratterizzazioni. È importante progettare dei percorsi che prevedono il rispetto dei diritti del minore e che non rispondono solo alle esigenze ed alle logiche economiche. La predisposizione di reti di aiuto, dal sostegno economico alla famiglia di origine, alle varie strutture di day care. Nel contempo vanno rafforzate le soluzioni, se necessarie, di un allontanamento temporaneo del minore dal proprio contesto: affidamento diurno e temporaneo ad una famiglia o ad una comunità di tipo familiare. Ma la vera risposta all’alternativa all’istituto dei bambini “difficili”, provenienti da famiglie multiproblematiche, secondo me, sta interamente nella piena integrazione scolastica e sociale, nella prospettiva pedagogica di un sistema formativo integrato, che superi le “ghettizzazioni” dell’istituto e del tempo prolungato, “tipo semiconvitto”. Ma la scuola pubblica deve essere in grado di attuare dei moduli educativi “flessibili”, tanto in direzione verticali che orizzontale. In direzione verticale, il sistema scolastico (materna, elementare, media e superiore), deve saper “creare” una reale continuità attraverso alcune cerniere metodologiche comuni: il modo di rapportarsi al territorio, le forme di partecipazione-gestione, le dinamiche di socializzazione (le classi “aperte”), i moduli di programmazione, le aree disciplinari. In direzione orizzontale, il sistema scolastico dovrà istituire con l’ambiente esterno una relazione di “complementarietà” e di “interdipendenza” delle reciproche risorse educative, tale da garantire alla comunità servizi e beni educativi e culturali in forma permanente tutto l’anno.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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