Elogio della scrittura. La penna è l’arma del cuore! L’arma di chi ha molte cose da dire e da dare
Data: Mercoledì, 16 ottobre 2013 ore 07:30:00 CEST
Argomento: Redazione


«La penna è l’arma del cuore! L’arma di chi ha molte cose da dire e da dare. È un desiderio divino di contemplare il mondo e la storia; una necessità, quasi, di misurare le geometrie del pensiero e del sapere; un bisogno di ricomporre intrecci di forme e di apparenze; un’urgenza di svelare racconti e misteri; un dovere di consegnare memoria e verità. Si, la penna è un’arma puntata contro l’indifferenza e l’ipocrisia, contro l’incoerenza e la falsità, contro il rimpianto e la solitudine. La penna è anche un gioco di penombre, di soggetti impettiti e gaudenti, di predicati animosi e operosi, d’aggettivi pomposi e adulanti, di punti danzanti, esclamativi, interrogativi, in sospensione… “Di noi non resteranno che parole”, diceva il poeta niscemese Mario Gori. Le parole che nascondono, che cercano, che nutrono, che afferrano, che gridano, che amano. O forse, come dice Pasquale Musarra, il poeta “Ha smarrito l’uso semantico della parola, che gli dava consapevolezza che essa fosse uno strumento efficace del dire, imbrogliato da direzionamenti oggettuali e caricato da condizionamenti affettivi ed emozionali”. Diceva qualcuno, “o si scrive o si vive”. Ma la sfida, alta, possente, risolutiva, è vivere e scrivere, o meglio, vivere per la scrittura, e scrivere per vivere; rasserenarsi e rasserenare il mondo con la scrittura, e vivere fortemente la vita di tutti i giorni, la vita vissuta, la vita impareggiabile, la vita sempre. Datemi una penna e cambierò il mondo».

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it

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«E la scrittura è uno stupendo grido d’amore e di passione, colmo di poesia e di promesse cercate, carico d’ombre solenni e di misteri. Un versificare pari ad una “vertigine d’inchiostro”. Versi e parole che portano verso una vertigine emotiva, un “limitare e un liminare” affannoso e sofferto che racconta l’anima di chi scrive, fortemente abbarbicata alle parole che “contano il tempo perso, l’amore ritrovato, i sorrisi e le lacrime”, e nel mentre emozionano, possono essere violente, ferire, curare, carezzare e consolare e farsi “melodiche come una soave sinfonia”. […] La scrittura è “fatta di parole, di troppe parole, confuse e irrequiete, invadenti, frettolose e impazienti, inadeguate” in un clima che ora si fa ascendente e ora discendente a volerci raccontare che la Parola, nella sua malleabilità, può camminare tra i rovi dell’esistenza, vagare tra le fitte boscaglie, le putride fanghiglie, le strade sterrate, i pesanti macigni, i fallimenti. La penna scorre, infatti, “attenta tra le pieghe della vita” e lo scrivere è “un tarlo nascosto” e “una singolare natura incomprensibile agli occhi dei sani”. Un’apoteosi, dunque, della parola perché nominare le cose attraverso le parole significa guardarsi e guardare e, dunque, vedere e dare un senso a percorsi non sempre lineari della vita e acquisire uno sguardo più alto rispetto e riguardo al mondo. Anche quando le parole si fanno “sciocche e inadeguate, stupide e inutili” restano una vertigine d’inchiostro. Ma la vertigine resta e questo è fondamentale per chi legge. Del resto “scrivo perché non vivrei senza” e, dunque, usare le parole equivale a vivere ed esistere».
Luisa Pecora

«La scrittura è un rito religioso: è un ordine, una riforma, una rieducazione al ri-amore per gli altri e per il mondo come sono e come potrebbero essere. Una creazione che non svanisce come una giornata alla macchina da scrivere o in cattedra. La scrittura resta: va sola per il mondo. Tutti la leggono, vi reagiscono come si reagisce a una persona, a una filosofia, a una religione, a un fiore: può piacergli o meno. Può aiutarli o meno. La scrittura prova delle emozioni per dare intensità alla vita: offri di più, indaghi, chiedi, guardi, impari e modelli: ottieni di più: mostri, risposte, colore e forma, sapere. All’inizio è un atto gratuito. Se ti fa guadagnare tanto meglio. […] La cosa peggiore, peggiore di tutte, sarebbe vivere senza scrittura».
Sylvia Plath





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