La battaglia solitaria per aiutare mio figlio dislessico
Data: Marted́, 15 ottobre 2013 ore 12:59:36 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Fulvio B., un papà di Verona, che ha portato vanti la sua battaglia solitaria per riuscire a dare un nome alle difficoltà di apprendimento di suo figlio: dislessia. Torniamo su un tema che ha suscitato accese reazioni e commenti. E lo facciamo, stavolta, dal punto di vista dei genitori. E vorremo stimolare anche gli insegnanti a parlare e a raccontare le loro esperienze.

Ho scoperto due mesi prima dell’esame di terza media che ho un ragazzo dislessico.

Ho deciso di scrivervi dopo aver letto il post di Margherita De Bac nel quale si parlava dei problemi di una tardiva diagnosi della dislessia. «…Per evitare che ciò accada basterebbe che l’insegnante ascolti il bambino mentre legge…». Quelle parole mi hanno colpito.

Durante le elementari le maestre hanno sempre liquidato la sua difficoltà con: si imbarazza, è timido, e altre superficialità del genere. Anche alle medie stessa storia.

O le insegnanti hanno competenza specifica, oppure non sanno neanche dove vivono.

La situazione si è sbloccata solo perché a fronte di una pagella con varie insufficienze, ho preso in mano la situazione e ho portato mio figlio da uno specialista. Da lui è arrivata la diagnosi: dislessia.

Ma anche allora i professori tendevano a sminuire la questione ( e mi guardavano come un visionario ).

Non c’è conoscenza specifica, e competenza.

Mi spiace ma il mio giudizio sugli insegnati è non proprio lusinghiero: mi sono sentito solo, anche osteggiato. E tutto perchè ho cercato di capire. Per il bene di mio figlio. Chi non avrebbe fatto lo stesso?

Fulvio B., un papà di Verona
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