Riforma della scuola: ops, ci siamo dimenticati i bambini
Data: Mercoledì, 25 settembre 2013 ore 08:30:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
“Drinnnn”. E’ suonata
anche quest’anno la campanella. Quella della scuola è indimenticabile.
Ha un suono che non trovi da nessun altra parte. E’ diversa da quella
dell’operaio in fabbrica, differente da quel trillo che segna a teatro
l’imminente apertura del sipario. La campanella della scuola è
nell’immaginario di ciascuno di noi, resta nei ricordi, segna il valore
dell’inizio di una giornata, ha il potere di interrompere una lezione.
Accompagna l’inizio e la fine dell’anno scolastico. E’ l’alfa e l’omega
del cammino dell’uomo. Ecco anche stavolta è suonata. Tutti a scuola.
Ci risiamo, ognuno al suo posto: il preside ad aspettare sulla porta,
la maestra, la bidella, mamma e papà ansiosi per il primo giorno. C’è
anche il sindaco a portare il saluto: “Sarà un anno meraviglioso”. Chi
manca? Ops, i bambini. Dove sono? Non ci siamo accorti ma sui banchi ci
sono solo gli astucci, i libri ancora una volta nuovi, la risma di
carta portata perché la scuola non ha più i soldi per comprarla, il
libretto delle assenze, i quaderni a righe, a quadretti, piccoli e
grandi, le penne proprio come le vuole la maestra, i vecchi gessetti e
la lavagna d’ardesia che non manca mai. Ah, dimenticavo anche la
vecchia cattedra di legno c’è, puntuale come sempre! Ma dietro i banchi
la sedia è rimasta vuota. “Impossibile! Guarda bene, forse si saranno
tutti nascosti”, afferma sconsolato il mio collega. No, non ci sono
proprio i bambini quest’anno. Forse ci hanno fatto uno scherzo, forse
si sono dimenticati di venire proprio oggi. Non credo che si siano
stancati della nostra scuola. Abbiamo pensato a tutto per loro: i
maestri e i professori abbiamo cercato di trovarli qua e là in Italia;
a Cremona abbiamo mandato quelli di Napoli, a Bologna quelli di Reggio
Calabria, a Catania quelli che abitano a Palermo. In ogni aula hanno
ancora qualche cartina geografica. Nel laboratorio d’informatica
abbiamo cercato di rimettere in sesto i vecchi pc per iniziare al
meglio. L’intervallo è preparato. Anche la mensa con la crema di legumi
con riso e crostini è pronta a fare la sua parte. E’ tutto come sempre:
abbiamo anche i pifferi che aspettano da mesi di essere suonati dai
bambini. E il consueto lavoretto per Natale, Pasqua, festa del papà e
della mamma aspetta solo il momento di entrare in scena. Ma guarda, è
arrivata anche la maestra “nuova”: l’hanno appena assunta, ha 52 anni.
Dicono che era precaria ma ora fa parte della squadra di noi giovani
docenti italiani. Aspetta, aspetta sono certo che ora i bambini
arriveranno. Anzi sento dei rumori, forse sono loro. “Ma che fanno?”
chiede il collega. Stanno protestando. Hanno tutti un cartello:
“Vogliamo un’altra scuola”. “Vogliamo i tablet in classe”, “Meno ore
più gite”, “Appassionateci alla scuola”. C’è persino uno con in mano un
lungo cartello: “Vorrei una scuola dove i maestri mi fanno divertire,
dove hanno il tempo di giocare con me e non di compilare registri.
Vorrei una scuola con le aule sempre aperte. Vorrei una scuola senza
voti, aperta anche il pomeriggio e la sera per vedere un film. Vorrei
una scuola di tutti i colori pennellati su pareti e dentro ai cuori.
Una scuola come un grande girotondo interamente aperta al mondo. Una
scuola con grandi finestre, come occhi dentro il muro per vedere al di
là del futuro. Dove c’è posto per lo studio e per il gioco perché
ahimè….lo spazio è sempre poco! E con piante e animali da curare per
crescere imparando ad amare. Una scuola per il cervello e per le mani
per conoscere e costruire il domani. Sì questa è la scuola che vorrei
dove conta ciò che sai ma ancora di più ciò che sei”. Forse ci siamo
dimenticati proprio di loro, di chiedere ai bambini come vogliono la
scuola.
Alex
Corlazzoli - Ilfattoquotidiano.it
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