Salvate il soldato Ungaretti
Data: Sabato, 14 settembre 2013 ore 10:42:12 CEST Argomento: Redazione
Credo che
solo un genio potesse sintetizzare il significato di un conflitto
moderno e di massa come la grande guerra in otto parole divise in
quattro versi. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Giuseppe
Ungaretti racchiuse in quella lirica tutti i sensi, tutte le
percezioni, tutta la drammaticità che pervase gli uomini che
combatterono nelle trincee europee nel tragico quadriennio 1914-18. La
caducità della vita, cui ogni soldato era legato come da un filo
sottile, in grado di essere spezzato dal vento, freddo, di una stagione
che prepara l’inverno. Perché forse a quella guerra ne sarebbero
seguite altre e allora il sacrificio di milioni di giovani vite correva
il rischio di essere stato invano. Poteva permettersi la società
europea di mettere in gioco tante risorse per nulla? E ancora, perché
la guerra? Eppure c’erano stati fermenti intellettuali convinti. Il
radioso maggio italiano, nel 1915 che solo oggi evoca nefasti presagi,
era stato l’esplosione di sentimenti, di idealità, di spinte
rigeneratrici. La guerra avrebbe cambiato tutto, costruito una società
diversa, un paese migliore. Era, per molti, una tappa obbligata.
Come tanti giovani anche Ungaretti che giovanissimo non era, ma che era
stato da subito interventista, si era arruolato in fanteria e venne
mandato a combattere sul Carso, proprio là dove, secondo la strategia
principe del generalissimo Cadorna, si consumava la serie delle
spallate che dovevano fiaccare il nemico per stremarlo, in vista della
dilagante orda italiana verso oriente, verso Lubiana, verso Vienna,
agognate mete dal profumo di vittoria. Ma la guerra non è solo slancio
ideale, non è solo un’operazione su carta che sposta divisioni e
reparti, supera ostacoli segnati a matita, fissa con segnalatori
obiettivi prossimi. La guerra è molto di più. È il fango della trincea,
il reticolato, il fuoco delle artiglierie e delle mitragliatrici. La
guerra è attendere il pessimo rancio che pare non arrivare mai e il
consumarlo tra il puzzo dei cadaveri in decomposizione. La guerra è la
morte, il compagno con cui parlavi e che viene colpito da una scheggia
che non si era nemmeno sentita. Ecco allora la veglia del soldato:
Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua
bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani
penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore Non sono
mai stato Tanto attaccato alla vita. La guerra è il senso di
appartenenza a un reparto, il desiderio di un periodo di riposo, il
collegamento con la famiglia e le persone che si sono lasciate a casa,
e che attendono notizie. E allora ecco ancora il soldato Ungaretti
produrre parole intrise di tristezza: Di che reggimento siete fratelli?
Parola tremante nella notte, Foglia appena nata, nell’aria spasimante,
involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità. Fratelli.
Ma ancora più toccante è una testimonianza video del grande poeta, che
negli ultimi anni della vita aveva maturato una concezione pessimistica
e catastrofica di ogni conflitto, mediata dal dramma della sua
esperienza. Disse, in quell’intervista, che la guerra l’avevano voluta
perché erano convinti che sarebbe stata l’ultima, quella che avrebbe
liberato l’uomo da tutte le guerre. Ma la guerra non libera mai l’uomo
dalla guerra e rimane sempre l’atto più bestiale dell’uomo. Un uomo
che, anche attraverso l’imperialismo dimostra che cessa mai la voglia
di dominare attraverso la violenza. Mi sembrano pensieri densi di
significato. Mi pare di aver spiegato il perché, per capire la portata
del suicidio d’Europa, possono bastare tre poesie. E perché anche un
vecchio interventista può produrre un manifesto di pace. Noi italiani
non possiamo dimenticare il soldato Ungaretti.
Leonardo
Raito - Domani-ero.com.unita.it
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