Scuola di massa e scuola di cultura
Data: Domenica, 08 settembre 2013 ore 05:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


In attesa di leggere il libro di Adolfo Scotto di Luzio, La scuola che vorrei, godiamo della bella recensione che sul “Corriere della Sera” di oggi ne fa Ernesto Galli della Loggia. Quest’ultimo si identifica totalmente nelle tesi del libro e soprattutto del fallimento della nostra scuola di massa: aver gettato a mare il meglio della nostra tradizione scolastica  che aveva avuto il suo fulcro nell’essere innanzitutto scuola di cultura.


Cioè scuola di qualità attenta ai contenutipiuttosto che soltanto alle metodologie (pure importanti) e soprattutto capace di dare ai ragazzi il sensodi appartenenza ad una  comuneciviltà  in continua evoluzione e incontinua costruzione del “ senso di noi”. Un senso di noi che, a mio parere, èdrammaticamente assente nella scuola italiana di ogni ordine e grado;  dove, appunto, dominano le dogmatiche teorie“applicative” dei vari sistemi didattici e pedagogici che per moda sialternano a discapito di contenuti certi e  comuni.
Peresempio, in base alla mia esperienza pluridecennale di presidente dicommissioni d’esame nelle scuole superiori, posso testimoniare che da unaventina d’anni non ho più il piacere di assistere ad orali in cui si parli diDante, Foscolo, Leopardi o di Manzoni, “accortamente” studiati in quarta, sestudiati. Né mi sembra abbia senso sottoporre a una quantità esosa didiscipline gli studenti degli istituti tecnici e professionali, che dovrebberoinvece concentrarsi su poche materie per approfondirle veramente, come è tipicodi una didattica di impostazione umanistica e realmente legata alle nostre  radici culturali. La differenza tra i vecchimaestri di bottega e una moderna formazione professionale dovrebbe consisteresoprattutto nel dare la possibilità agli studenti di studiare econtestualizzare le materie professionali in una dimensione storica eartistica: cosa che naturalmente nelle nostre scuole è lontana dal realizzarsi.D’altra parte se nelle scuole pubbliche si può insegnare quello che si vuole,che senso ha curarsi della preparazione dei docenti? E chi si è preoccupatonegli ultimi decenni (sottolineo: decenni!) di selezionare dei docenti colti,meritevoli e motivati?
Per Scotto di Luzio e DellaLoggia una scuola come la nostra sarà sempre più disertata dalle élite, mentrepenalizzerà sempre più le classi meno abbienti, in quanto, derubricata  a ente gestoredi moltitudini in cui gli studenti “sono indotti sempre più a concepire  l’istruzione come uno specifico, individuale percorso, aperto a molteplici esperienzedi vita”,  non potrà permettere ai capacie meritevoli di accedere, come invece meriterebbero, ai livelli più alti dellasocietà.   
ComeGruppo di Firenze ci auguriamo  chequesto libro possa rimettere in primo piano il ruolo primario della scuola,quello di affidare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale comebase indispensabile  anche della propriariuscita individuale. Per questo è necessario che alla scuola si guardifinalmente con quel realismo critico che è alla base della nostra culturaidealista, pragmatica e anche gramsciana. Invece coloro che hanno avuto in manole leve del potere scolastico e culturale hanno in genere preferito fare scelteideologiche e alla moda, anche perché meno impegnative per chi spesso si ètrovato a gestirle, quelle leve, per “meriti” di militanza politica e di fedeltàai partiti, senza avere la preparazione e la vocazione necessarie: quella diessere “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, madopo sé fa le persone dotte”. (VV)

Gruppo di Firenze





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