Come i siciliani inventarono l’America. Una storia siciliana in tre atti
Data: Mercoledì, 04 settembre 2013 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Bisacquino, atto primo.
Tutto cominciò con una lettera. Quella lettera, giunta dalla favolosa Los Angeles «in una casa di pietra e calce aggrappata con le unghie alla roccia nel villaggio di Bisacquino, in Sicilia», strappò una famigliola contadina agli stenti patiti nel cuore assolato e desolato dell’isola, della Sicilia centro-occidentale del latifondo, della miniera, della mafia. E così, il 18 maggio 1903, quei “vinti” verghiani, quelle “ostriche” aggrappate allo “sco­glio”, si sradicarono anche loro, anche loro come tanti veleggiarono verso l’Eldo­rado del benessere generalizzato e del successo a portata di mano.
E a uno dei più piccoli, il narratore di quest’or­di­naria odissea, toccò addirittura, al culmine d’un nuovo calvario di stenti e fatiche, di sfondare a Holly­wood come regista; non solo: d’inventa­re, lui immigrato e da sì remote plaghe, il mito dell’Ame­rica, l’american dream ottimista e rooseveltiano dell’uo­mo comune che ottiene giustizia e successo in grazia dei suoi meriti e dei suoi diritti.
Già: è del grande Frank Capra che stiamo parlando, anzi di Capra Francesco da Bisacquino: l’autore di La vita è meravigliosa e di Mr. Smith va a Washington, di Accadde una notte e di Arsenico e vecchi merletti, il padre degli anti-eroi candidi e fiduciosi incarnati da James Stewart e Gary Cooper, controfigure di Jeli il pastore e di Alessi Malavoglia imbevute di linfa puritana, e vendicate del loro destino di “vinti” grazie al New Deal e all’american way of life.

Sempre a Bisacquino, atto secondo.
Sempre da Bisacquino, attratta dalla medesima chimera, era partita per New York la famiglia Lombino. E nella metropoli era nato Salvatore, che alle sue tentacolari insidie e ai suoi bassifondi criminosi decise di dedicare la sua precoce vocazione di scrittore. Ma ve l’immaginate un autore di gialli, da qui a poco autore della serie poliziesca più fortunata al mondo, che si firma Salvatore Lombino? Con quel nome non avrebbe certo fatto strada, perciò lo cambiò inizialmente in Evan Hunter (e pubblicò Il seme della violenza, poi in parecchi altri. Ma uno fu il nome che lo consacrò nell’Olimpo del giallo, anzi dell’hard boiled d’oltreoceano: e Salvatore Lombino fu Ed McBain.
Già, proprio il grande McBain, l’inventore dell’87° Distretto (una cinquantina di romanzi in quarant’anni). E come lui siciliano d’origine è il detective Steve Carella che opera in quel distretto di polizia. Insomma, l’inventore del cinema americano del New Deal e quello del poliziesco newyorkese provenivano entrambi dallo stesso borgo isolano; ma ancor più sorprendente, per me che l’ignoravo, mi è giunta la terza notizia, l’ultima tessera di questo mosaico italo-americano. Dinanzi al quale saremo costretti a dire che i siciliani in America hanno inventato i tre linguaggi che l’America (almeno così credevamo) ha consegnato al Novecento per capirsi e riscriversi: il cinema, il giallo e – udite udite! – il jazz.

Salaparuta, atto terzo.
Salvatore Mugno è un instancabile e geniale poligrafo. Ha scritto di tutto: romanzi e saggi, traduzioni e inchieste: tra l’altro, un romanzo-saggio misto di storia e d’invenzione, ma solidamente ancorato a un dato reale, dichiarato fin nel titolo: Il biografo di Nick La Rocca; sottotitolo: Come entrare nelle storie del jazz.
Ebbene: NickLa Rocca– il cui padre Girolamo, bersagliere e componente della banda municipale, nel 1876 aveva lasciato la sua Salaparuta per la mitica New Orleans – si proclamò “inventore del jazz”; e fu effettivamente il leader della leggendaria Original Dixieland Jazz Band di New Orleans che prima al mondo, nel febbraio del 1917, incise un disco di musica jazz.
Ancora un siciliano, dunque. Mugno ne scrive mescolando documenti storici inediti con invenzioni narrative, e la vita del cornettista spaccone figlio del ciabattino-trombettiere con quella d’un suo biografo tanto accanito quanto frustrato, irriso, smentito. Un libro da leggere: chiuso il quale (e chiusa questa mia frettolosa recensione) può avvenire di chiedersi: e se Faulkner fosse nato a Partinico?

Prof. Antonio Di Grado





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