Yayin, lo schiavo del basilisco. la storia d’un uomo in preda all’alcol
Data: Domenica, 25 agosto 2013 ore 07:30:00 CEST Argomento: Redazione
Ho conosciuto
Yayin nell’estate del 1995, quel giorno, mentre prendevo servizio, lo
trovai nel mio reparto. Era dai modi gentili, cerimonioso, e stava
sempre sulle "sue". Era stato ricoverato per "etilismo cronico", ma in
quella settimana ebbe un comportamento adeguato, quasi normale, ed ebbi
anche modo di appurare che aveva una preparazione scolastica e
culturale "fuori dalla norma". Mi disse di essere laureato in Diritto,
che sapeva parlare correttamente ben quattro lingue. Diventammo amici,
tra noi due si instaurò un rapporto che travalicava l’ambito
ospedaliero, parlavamo spesso di filosofia, di poesia, per ogni
argomento aveva sempre una buona preparazione. Yayin era di nazionalità
tedesca, dopo aver completato gli studi ebbe delle disavventure che lo
portarono ad abbandonare il suo paese e la sua famiglia, e da quel
momento diventò un perfetto viados, cadendo ben presto preda
dell’alcol. In questo suo vagabondare per tutta l’Europa, finì, nei
primi anni ’90, a Catania. Nella città etnea cercò di lavorare, ma ben
presto le difficoltà di inserimento e la differenza dei costumi e della
lingua, portarono Yayin a rifugiarsi nel bere. In un primo tempo cercò
di svolgere una vita normale, dimorava in una pensioncina che si pagava
facendo il commesso in un negozio di calzature, ma ben presto il vizio
del bere lo portò ad essere emarginato, dovette lasciare la pensione
dove dormiva, in quanto tutti i suoi guadagni li consumava per l’alcol.
Questa situazione lo portò ad un’esistenza ai limiti della normalità e
finì per chiudersi in se stesso, a non interessarsi del mondo che lo
circondava, arrivò persino a perdere il legame che ancora lo teneva
unito ai suoi familiari in Germania.
Ho saputo che la sua famiglia tentò di recuperarlo, ma che egli, dopo
un breve periodo passato in una struttura per disintossicarsi, ritornò
alla vita di viados, vagabondando per la città siciliana, elemosinando
sigarette e qualche soldo per potersi pagare il vino.
Quando era "in sensi" cercava di raggranellare qualche moneta, con
l’unico scopo di poter comprare l’alcol e le sigarette. In seguito finì
per essere ospite della struttura della Caritas Diocesana di Catania, e
durante il giorno si dedicava al suo "piacere" preferito: bere e
fumare. A causa di questo suo modo di vivere, Yayin precipitò in una
situazione di decadenza psicologica che lo portò, non solo a rifugiarsi
nell’alcol e nel fumo, ma in un continuo viavai presso le strutture
psichiatriche della città.
La giornata tipica di Yayin consisteva nell’alzarsi la mattina,
consumare una frugale colazione, offerta dalla Caritas, poi veniva
letteralmente buttato in strada, in quanto né a lui, né agli altri
ospiti era consentito rimanere nella residenza. Così Yayin, fin dal
primo mattino, bighellonava per la città in cerca di denaro poter
appagare i suoi "soliti" interessi, "annullando", ogni giorno di più,
la sua personalità.
I suoi unici sprazzi di vita normale consistevano nel "tentare" di
lavorare in un negozio di calzature, anche se erano diventati sempre
più rari. Nel reparto di Salute Mentale, Yayin cominciò ad avere un
rapporto stabile con tutto il personale sanitario, medici, psicologi ed
assistenti sociali, anche se non ne ricavava nessun beneficio, in
quanto queste relazioni erano diventate solo un modo, tutto suo, per
andare avanti, e per poter "sublimare" la sua esistenza di viados e
"filosofare" sulle ingiustizie del mondo. Era "imbottito" di farmaci e
il suo degrado psicofisico era arrivato ad un livello talmente basso
che non "riusciva" a prendere consigli da nessuno ed a rifiutare
qualsiasi aiuto, ed ogni giorno di più, "precipitava" in una situazione
di oblio e di annichilito assoluto. Conservava qualche sorriso solo
quando parlava di filosofia o di letteratura.
A causa delle "ebbrezze alcoliche" i ricoveri presso le strutture
psichiatriche divennero sempre più frequenti e dopo ogni dimissione
veniva inviato presso gli ambulatori per seguire le riunioni del Club
Alcolisti in Trattamento (C.A.T.). Anch’io venni invitato, con il suo
consenso, a partecipare a queste sedute, come suo "familiare
sostitutivo".
Gli incontri del Club Alcolisti furono, per me, molto "istruttivi",
perché mi fecero vedere Yayin sotto un altro profilo, agli inizi era
dai modi brillanti, conservava la sua verve poetica, il suo parlare
cerimonioso.
Poi ebbe una rapida metamorfosi, divenne cupo, silenzioso, dava
risposte vaghe quando ci si concentrava sulle problematiche dell’alcol
e del fumo, alla fine iniziò a saltare gli incontri settimanali. Yayin
era caduto definitivamente dentro il "tunnel della dipendenza", non
poteva più fare a meno del "morso del serpente" ed il suo sguardo era
attratto "dall’incanto del basilisco", i suoi occhi vedevano cose
strane ed il suo cuore faceva dei discorsi pazzi, sembrava che
"volasse" divertito con la fantasia, senza rendersi conto del suo stato
di delirio, ed ancor oggi, mi rimane il dubbio se era cosciente di
essere vittima o carnefice di se stesso.
Ogni tanto partecipava a qualche incontro del CAT, ma tutti si
accorgevano che non era presente a se stesso, non partecipava alle
varie discussioni ed entrava nell’oblio più assoluto. Yayin era
diventato veramente prigioniero del "morso del serpente", era indotto a
consumare grosse quantità di vino e di altre bevande alcoliche.
Questo stato di profonda schiavitù, portò Yayin ad avere disturbi
d’affettività, irritabilità, malumore e aggressività verbale.
Per "chiudere il cerchio", alla fine, gli venne diagnosticato un
carcinoma allo stomaco, questa terribile notizia, secondo me, accentuò
in lui un comportamento quasi di autodistruzione, con la sempre più
spasmodica ricerca di alcol e di fumo.
Ricordo, come se fosse stata una premonizione, il mio ultimo incontro
con Yayin, nell’agosto del 2001, una ventina di giorni prima di
arrivare all’epilogo della sua esistenza, guardandomi negli occhi, mi
disse: "Giuseppe, secondo te, sono giunto all’ultima spiaggia?",
ed io gli risposi: "Si, Yayin, secondo me sei arrivato all’ultima
spiaggia".
Nello stesso mese chiuse, per sempre, la sua esistenza terrena. Yayin è
stato per me, non solo un paziente, ma, soprattutto, un sincero amico
pur nell’antagonismo e nella diversità di pensiero.
Nel suo ricordo, per quello che posso fare, come operatore di
psichiatria e di responsabile di Comunità, agirò per far sì che altre
persone non calchino la sua triste esperienza e possano uscire dal
tunnel della dipendenza dell’alcol e della "schiavitù del basilisco".
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it
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