La bella di matematica, dello scrittore diciottenne che fa impazzire il Nordest
Data: Sabato, 17 agosto 2013 ore 08:00:00 CEST Argomento: Redazione
A
18 anni il trevigiano Alessandro Cecconato ha scritto un romanzo (o
racconto lungo, se preferite) diventato in pochi mesi un caso
letterario di provincia. La
bella di matematica, cronaca minuta e segnata da una costante vis
comica della vita di un liceale al cospetto del terrore della classe:
la professoressa di matematica piovuta nel Nordest dal Centrosud (il
suo accento alterna e mescola romano e napoletano a un po' di mal
appreso trevigiano). Il successo del libro a Treviso è stato
straordinario, grazie anche al fatto che molti potevano riconoscersi,
nonostante il nome semistorpiato (anche la professoressa non deve aver
fatto fatica – temiamo – a rinvenire il suo alter ego letterario, e
così pure il corrispettivo reale del fantomatico "vicesindacosceriffo
Gian Benito Rusticoni"). Ma i meriti di Cecconato vanno oltre quelli
che basterebbero a una brillante parodia provinciale. Il suo stile
vivace e asciutto e il suo non fare della professoressa Alda Adda una
caricatura a una sola dimensione, ma un personaggio complesso e
da scoprire (fino al finale a sorpresa), rapprensentano una promessa
letteraria che speriamo Cecconato possa mantenere, una volta finito il
liceo-classico fortezza dove ha ambientato questo divertente debutto,
pubblicato da Santi Quaranta, di cui vi proponiamo il quattordicesimo
capitolo.
LA MIA NUOVA RAGAZZA
Dovevo aver bevuto qualcosa di strano, mi sentivo come stordito e
camminavo per il centro con gli occhi rivolti al cielo, senza badare
alla presenza di eventuali tombini aperti: per fortuna non ne trovai.
Passeggiavo buttando l’occhio qua e là sulla gente. A lato avevo appena
lasciato Piazza del Martire, bagno studentesco, poi più su, sulla
destra, la Loggia dei Cavalieri. Quest’ultima è stata di recente
conquistata da un manipolo di tredicenni con i capelli unti e la pelle
ancora liscia, brufoli a parte.
Di quando in quando il capobrigata avvicina la vecchietta di turno per
starnutirle addosso o per farle cadere sul soprabito la cenere di una
sigaretta; abbiamo pensato di dare una gagliarda mano alla cara nonnina
per cacciarli via definitivamente, come piccioni: abbiamo incaricato
Soz, il ribaldo, e Lucarelli, il coordinatore, di organizzare la
spedizione punitiva contro quei banditelli.
Proseguendo ancora passai vicino ai più grandi retori della città,
ragazzi e ragazze che 24h su 24h si trovano in questa piazza nobile per
parlare; parlano sempre: ogni sera, ogni pomeriggio, smaltiscono le
calorie degli Spritz con l’incessante movimento del muscolo
mandibolare. Qualcuno mi ha detto che si dicono un sacco di cose
interessanti; quando anch’io avrò un pomeriggio libero verificherò
direttamente.
Come preso da un vortice mi trovai poi catapultato sulle mura. Mi
sedetti sui mattoni rossi. Trovai un posto magnifico, e pensare che
qualche tempo fa avevo letto che il sempreverde vicesindacosceriffo
Gian Benito Rusticoni voleva farne un parcheggio: chissà per quale
miracolo, tutto è ancora come prima. Non molto lontano due ragazzi
accesero una sigaretta con la cartina lunga, e si diffuse intorno
l’aroma. Mi spostai di nuovo e mi trovai vicino a una strada accanto
alla quale scorre il nostro Fiume di Risorgiva. Alla mia destra stava
il McDonald con il suo fastidioso odore, di fronte a me invece i visi
arrabbiati dei frequentatori della stazione, forse gli unici della
città che fanno un po’ paura. Distolsi lo sguardo incantato dai lacci
sporchi delle mie All Star e, guardandomi intorno, mi accorsi di essere
completamente solo, la città era vuota.
Girai su me stesso: il Fiume era diventato mare cristallino, il ponte
pontile, i sanpietrini dove prima avevo visto conficcato un tacco rotto
avevano lasciato il posto a una dolce distesa di sabbia fine e bianca,
il fast-food era diventato una torretta da bagnino. In lontananza
qualcuno gridava “cocco cocco bello!”: se non fossi stato certo di
trovarmi in una cittadina del Nord Italia, avrei giurato di essere alle
Maldive in costume da bagno.
Sentii un certo fastidio al piede e così m’accorsi di un paguro
incastrato tra le mie infradito. Forse avevo preso un pugno in viso da
uno di quegli energumeni e avevo battuto la testa. Mi voltai verso la
stazione ma, invece di cinque tipi dai pantaloni con la vita bassa,
vidi un gruppetto di palme. Le corriere sembravano essere state
sostituite da una lunga serie di chioschi tutti addobbati, di quelli a
forma di limone o pompelmo che si vedono solo nei film o nelle foto
delle vacanze altrui.
D’un tratto udii alle mie spalle una voce celestiale chiamare il mio
nome: “Paolo, Paolo, corro da te amor mio!”. Così mi girai e in
lontananza vidi avanzare verso di me (per qualche strano effetto ottico
mi sembrava corresse al rallentatore) una fanciulla bellissima che
percorreva con passi leggeri ed agili il bagnasciuga. Doveva avere
circa la mia età, aveva capelli castani che delicatamente accarezzavano
le dolci spalle, e occhi profondi simili a perle scure.
“Finalmente, finalmente ti ho trovato!” mi disse con tono soave, come
se la lunga corsa non avesse per niente affaticato la meravigliosa
sconosciuta. Indossava un vestito violetta, con un colletto bianco
particolare, era incantevole. Tuttavia dovetti confessarglielo, io
proprio non la conoscevo. “Come no Paolo? Sono io, non mi riconosci? La
tua Alda!”. “Io… io non conosco nessuna Alda, della tua età”. La fissai
negli occhi, analizzando attentamente i tratti del suo viso stupendo.
Possibile che non ricordassi un collo così ben tornito, un volto così
grazioso? Sì, forse aveva qualcosa di familiare, ma non era nulla più
che una sensazione.
“Ma certo che mi conosci, io sono la tua Alda, la tua maestra, la tua
insegnante. Ora tutto è passato, dimenticato, siamo giovani ed amanti,
ed io, io sono la tua ragazza”. D’un tratto una forza interiore mi
prese, mi sembrò d’avere davanti a me la creatura più celeste che
avessi mai incontrato e così, ormai perso, la baciai. Ah quale
non-senso in questa nostra continua guerra con la Adda, era colpa
nostra il suo imbruttimento! pensai. Basta con le ribellioni, le lotte
di quartiere, le vendette: la Alda era amabile e andava amata. Abbiamo
tutta la vita per litigare con nodi di cravatta stretti intorno al
collo, godiamoci la pace del Liceo.
Separatici dopo quel bacio meraviglioso, posò il suo tenero sguardo su
di me ed iniziò a chiamarmi dolcemente per nome: “Paolo…”. “Dimmi amor
mio…” le risposi incantato. “Paolo… Paolo…”. Io la guardavo ammaliato…
“Paolo!” quasi mi urlò. “Ehi! che succede?”. “Paolo!!”. “Dimmi!”. Non
mi rispose più, e tutto si fece buio e silenzio. D’un tratto, una voce
metallica squarciò i miei timpani: “Ma anvedi sto impunito aò! Guarda
come s’appisola su er banco! Ma che stiamo a scherza’?”.
Alessandro
Cecconato - Linkiesta.it
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