Hiroshima, 68 anni fa: per non dimenticare
Data: Martedì, 06 agosto 2013 ore 20:23:09 CEST Argomento: Opinioni
In queste
giornate afose rischiano di cadere in silenzio due date che rievocano
un’immane tragedia per l’umanità. Mi riferisco al 6 e al 9 agosto 1945,
quando gli americani sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e
Nagasaki. Solo nei mesi immediatamente successivi alla deflagrazione i
morti furono oltre 200 mila. Secondo stime attendibili, fino ad oggi le
vittime accertate sarebbero oltre 350 mila, in seguito soprattutto alle
affezioni tumorali provocate dalle micidiali radiazioni termonucleari.
Quelle dell’agosto 1945 sono state le uniche volte in cui furono
impiegate armi nucleari in un conflitto bellico contro popolazioni
civili, sterminando intere generazioni e annichilendo intere città.
Bisogna ricordare che la paternità storica di tali crimini contro
l’umanità, rimasti tuttavia impuniti, va ascritta agli Stati Uniti
d’America, che non hanno esitato un momento ad usare armi di
distruzione di massa per vincere la guerra.
In particolare occorre riflettere sulla seconda bomba, sganciata su
Nagasaki. Secondo vari storici si è trattato di un atto terroristico
evitabile, eppure è stato ugualmente eseguito per due ragioni
fondamentali. La prima, più che altro un alibi tecnico-scientifico, era
che la bomba su Nagasaki, essendo composta di plutonio e non di uranio
arricchito come quella su Hiroshima, aveva bisogno di essere
sperimentata, ma un simile ragionamento è semplicemente cinico. Il
secondo motivo era di ordine strategico, in quanto la seconda bomba era
inutile per vincere la guerra contro il Giappone, un paese già
stremato, ridotto alla mercé dei vincitori, per cui apparve subito
evidente il vero scopo della seconda esplosione, vale a dire un atto
scellerato in funzione antisovietica.
In tal senso le bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki, le ultime della
seconda guerra mondiale, furono anche le prime della “guerra fredda”.
Insomma, fu un chiaro segnale intimidatorio teso a far capire ai
sovietici ed al mondo intero chi erano i nuovi padroni.
Negli anni successivi al 1945 le armi atomiche furono adottate dalle
principali potenze: l’URSS la ottenne nel 1949 grazie alla decisione di
alcuni scienziati che avevano concorso alla creazione della bomba H per
il governo nordamericano, per ristabilire un equilibrio tra le parti
avverse, la Gran Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la Cina nel
1964.
In questo periodo, segnato da una prima proliferazione degli arsenali
atomici, sorse un clima di “guerra fredda” nel quale i due blocchi
politico-militari (la NATO, ancora esistente e il Patto di Varsavia,
che ruotava attorno all’Unione Sovietica) erano coscienti di
annientarsi vicendevolmente con il solo impiego delle armi atomiche.
Era la teoria della “distruzione mutua assicurata” alla base del
cosiddetto “equilibrio del terrore”, la strategia della deterrenza che,
in qualche occasione, ha scongiurato il rischio catastrofico di un
conflitto termonucleare totale. Tale “equilibrio”, ancorché fosse un
utile deterrente sul piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme
proliferazione degli arsenali atomici sia ad Ovest che ad Est. Al
contrario, le armi nucleari divennero più numerose, ma soprattutto più
sofisticate, quindi più potenti, al punto che confrontate con quelle
successive le bombe gettate su Hiroshima e Nagasaki parevano
“giocattoli”.
Gli arsenali atomici a disposizione dei due blocchi (Est ed Ovest:
nemici sulla carta, ma in realtà complici rispetto alla spartizione
economica, politica e militare del globo) erano potenzialmente in grado
di disintegrare il pianeta, non una, ma decine di volte.
Nel corso degli anni ‘80 il dialogo tra Reagan e Gorbaciov condusse
alla stipulazione dei trattati START I e START II che sancivano una
graduale riduzione degli armamenti atomici posseduti dalle due
superpotenze. In quegli anni, esattamente nel 1985, uscì un film
intitolato “War games” (tradotto in italiano “Giochi di guerra”) che
narra la storia di un ragazzo di Seattle che, giocando col computer,
riesce ad inserirsi nella rete informatica della difesa nucleare
statunitense provocando, nella finzione cinematografica, il rischio di
un conflitto termonucleare, poi scongiurato. Cito il film per
evidenziare come in quegli anni la percezione dei pericoli di un
conflitto atomico che avrebbe potuto causare l’autodistruzione del
genere umano, era maggiore di oggi.
Eppure, la situazione odierna è ben più pericolosa di quella descritta
relativamente al periodo della “guerra fredda”. Attualmente, gli Stati
che dichiarano di possedere armi nucleari e fanno ufficialmente parte
del cosiddetto “Club dell’atomo” sono esattamente otto: Stati Uniti
d’America, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan e
Israele.
Inoltre la possibilità, non solo teorica, che alcune armi atomiche come
le cosiddette “bombe sporche” (che non costano come le armi atomiche e
non esigono particolari competenze scientifiche, se non quelle, ormai
diffuse, che servono a costruire una bomba tradizionale) possano cadere
nelle mani di gruppi terroristici al soldo dei servizi segreti delle
varie potenze (USA ed Israele sono in cima alla lista per la loro
spregiudicatezza) può fornire una vaga idea della elevata pericolosità
dell’odierna situazione internazionale, segnata da tensioni aggravate
dalla politica della “guerra globale preventiva” che di fatto alimenta
le spinte oltranziste in ogni angolo del mondo.
L’odierna situazione planetaria è dunque più insidiosa del passato,
soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino del 1989 e il
disfacimento dell’Unione Sovietica, ma soprattutto dopo l’11 settembre
2001, quando sono state rilanciate la ricerca e la produzione di nuove
generazioni di bombe nucleari, molto più piccole e facili da
utilizzare. Nonostante ciò, la consapevolezza del pericolo
rappresentato dagli arsenali atomici da parte dell’opinione pubblica
mondiale, è ad un livello più basso rispetto agli anni della “guerra
fredda”, un periodo in cui l’equilibrio tra le superpotenze esercitava
un effetto deterrente. Oggi quell’equilibrio non esiste più ed è
rimasto solo il “terrore”.
Anzi, la situazione odierna è profondamente instabile e gli USA non
sono in grado di gestirla da soli attraverso un ruolo di gendarmeria
planetaria che si sono auto-attribuiti con la consueta arroganza che li
ha condotti in uno stato di isolamento. Oggi assistiamo ad un insidioso
rilancio della ricerca nucleare per fini militari, che vede un
coinvolgimento crescente anche dell’Italia. Si pensi che all’aeroporto
militare di Ghedi (Brescia) e nella base americana di Aviano sono già
pronte almeno 90 testate nucleari.
Per capire l’estrema pericolosità derivante dall’odierno scenario
internazionale, ricordo un episodio del 2002, quando India e Pakistan
(che già nel 1998 avevano condotto alcuni test nucleari) si trovarono
sull’orlo di un conflitto per il controllo del Kashmir, un territorio
al confine tra i due Stati, famoso per un tessuto morbido e leggero di
lana omonima ricavata da una particolare razza di capre che vive solo
in quella regione. Si trattò di una pericolosa contesa politica che
avrebbe potuto degenerare apertamente e facilmente in uno scontro
bellico, con un eventuale ricorso ad armamenti termonucleari.
Oggi esistono alcune micro potenze regionali, quali la stessa Israele,
che detengono arsenali atomici micidiali e assumono atteggiamenti
ostili e belligeranti verso gli Stati confinanti. E nessuno osa
denunciare la situazione. Anzi, chi si azzarda è tacciato di
“antisemitismo”. Naturalmente sarebbe ipocrita non riconoscere che la
più grave minaccia proviene da quelle superpotenze mondiali come Usa,
Cina e Russia che mirano ad una nuova spartizione geopolitica ed
economica del mondo ed agiscono in modo espansionistico sul terreno
commerciale, entrando spesso in contrasto tra loro. Si pensi alla
competizione tra Usa, Cina ed Europa o alla guerra monetaria tra l’euro
e il dollaro.
Certo, dal ‘45 ad oggi le guerre finora combattute e quelle in corso
non hanno mai registrato il ricorso ad armi atomiche, ma solo a quelle
convenzionali. Finora ho fornito una ricostruzione storica in materia
di armi nucleari, provando ad evidenziare un confronto tra gli anni
della “guerra fredda” e la realtà odierna che è assai più insidiosa,
benché la coscienza della gente sia meno diffusa e profonda rispetto al
passato. A tale proposito mi sembra utile citare un brano tratto da un
articolo di Giorgio Bocca (apparso diversi anni fa nella rubrica
“L’antitaliano”), nel quale l’anziano giornalista scriveva
testualmente: “Già nel 1945 avremmo dovuto capire che l’apocalisse era
ormai entrata nella normalità. Scoppia la prima atomica a Hiroshima e
sui giornali dell’Occidente, anche sui nostri, la notizia venne data a
una colonna in basso e non destò particolare emozione. Aveva ucciso in
un colpo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a morte altrettante.
Non se ne sapeva molto, è vero, ma in breve si capì che era l’arma
della distruzione totale, ma l’Occidente civile in sostanza non fece
obiezione: la bomba segnava in pratica la fine della guerra, perché
condannarla?”. In altri termini, il fine (ossia la conclusione della
seconda guerra mondiale) ha giustificato il mezzo, ovvero il ricorso
alla bomba H, vale a dire ad un terrificante strumento di distruzione
di massa.
Oggi, più che in passato, la bieca logica machiavellica del “fine che
giustifica i mezzi” non può e non deve essere tollerata, ma va respinta
con fermezza ed in modo definitivo, pena l’annientamento dell’umanità e
di quasi ogni forma di vita sul nostro pianeta.
Le cause delle guerre, siano esse convenzionali o meno, sono
fondamentalmente le stesse: il possesso e il controllo della terra,
dell’acqua, del petrolio o di altre preziose materie prime, lo
sfruttamento dell’uomo e della natura, l’oppressione di un popolo da
parte di un altro popolo, vale a dire di una classe sociale da parte di
un’altra classe.
Queste sono le ragioni primarie che possono scatenare un conflitto
bellico. Il fatto poi che alla guerra condotta con armi convenzionali
si sostituisca la guerra “termonucleare”, non cambia e non toglie
assolutamente nulla alle cause, al carattere e al significato di classe
della guerra medesima. Tuttavia, è evidente che la differenza tra
guerre tradizionali e guerra nucleare sta nel fatto che le armi
atomiche sono strumenti di distruzione totale: un “dettaglio” non certo
trascurabile, che non va sottovalutato.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com
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