Il tabù delle bocciature confonde i risultati e li rende meno credibili
Data: Giovedì, 01 agosto 2013 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


“Nella tua prova scritta di italiano, hai definito Falcone e Borsellino due ‘ispettori’: sai che cos’è il pool antimafia?” “Un’associazione di volontariato”. Non è una barzelletta, è un brano di colloquio dell’esame di Stato da poco concluso.
Il Ministero dell’Istruzione ha fornito proprio in questi giorni i dati riguardanti gli esiti dell’esame di Stato: in aumento gli ammessi all’esame (circa un punto più dello scorso anno); lievemente superiore anche il numero delle promozioni e dei voti massimi. A completare il quadro, si registra una diminuzione del numero degli studenti che sono stati promossi a fatica con voti strettamente sufficienti (circa un punto in meno dei risultati 2012).
Gli studenti italiani sono quindi diventati più bravi? Così sembrerebbe.

A frenare però la soddisfazione che i dati sembrano alimentare, ci sono due considerazioni.
In primo luogo, le carenze dei neodiplomati costituiscono un fatto assodato. Sono così diffuse che le Facoltà universitarie devono predisporre corsi di recupero per coloro che rivelano grandi limiti nei test d’ingresso.

“Il problema della preparazione di base dei neoiscritti è pesantissimo – dice il professor Renzo Bragantini, ordinario di Letteratura italiana alla “Sapienza” – e le difficoltà maggiori sono di pertinenza lessicale. Ricordo addirittura una laureanda triennale che non conosceva il significato del verbo ‘nuocere’, caso estremo certamente, ma significativo. Coloro che provengono da condizioni culturalmente modeste raramente trovano nella scuola l’opportunità di elevare il loro livello di istruzione”.

Qualcosa quindi non torna nel tasso elevato e crescente delle promozioni alla maturità che tocca la quasi totalità degli studenti in uscita dalle scuole superiori. L’esame di Stato è forse una prova non così scontata? Ci vorrebbe qualche bocciatura in più?

Le commissioni però hanno quasi l’impossibilità di bocciare perché il loro lavoro è vincolato da un ginepraio di formalismi e di burocrazia. Il caso del candidato che non conosceva il pool antimafia è certamente un caso limite ma rappresenta anche la punta di un icerberg. Inutile dire che il candidato, nonostante l’incommensurabile strafalcione e una preparazione molto lacunosa e superficiale, è stato promosso. La Commissione d’esame non era lassista e poco attenta, ma doveva fare i conti con diversi vincoli, il primo dei quali era legato al curriculum scolastico. Lo studente aveva frequentato per un quinquennio in modo non certo esemplare ma quasi normale ed era stato ammesso perché il consiglio di classe a maggioranza aveva portato a sufficienza un voto basso.  Il quadro poteva permettergli, insomma, di ricorrere alla Giustizia amministrativa se non avesse superato l’esame. Perciò i commissari non se la sono sentita di incorrere nei rigori di qualche sentenza del TAR.  Del resto, nello scorso anno scolastico, una sentenza del Consiglio di Stato consentì a una ragazza, sorpresa a copiare, la promozione perché il suo curriculum scolastico era stato regolare. Il “Gruppo di Firenze”, coraggioso blog che da tempo denuncia i punti critici nella scuola italiana, dichiara “…chi ha la responsabilità di decidere bocciature e sanzioni disciplinari nella scuola sa benissimo che il ricorso è sempre in agguato; e che le probabilità di vedersi dare torto da un giudice sono molto alte, anche nel caso che non si siano commessi errori da parte di colleghi poco attenti o impreparati. Non meraviglia quindi che questo timore stia scalando rapidamente la disdicevole classifica dei pretesti con cui alcuni presidi e alcuni colleghi si scrollano volentieri di dosso le loro responsabilità.”.

Vincoli di ogni genere legano le mani alle commissioni che sembrano così chiamate solo a ratificare l’operato delle scuole, senza poter dare un peso adeguato a prove d’esame in molti casi carenti. Ma così l’autorefenzialità della scuola non viene nemmeno scalfita e l’oggettività della valutazione rimane una chimera. Quando si parla di valorizzazione del merito, è inevitabile che si debba chiamare in causa anche la penalizzazione del demerito. Una prova d’esame carente dovrebbe perciò poter invalidare un periodo di studi di durata quinquennale sì ma spesso stentato e improduttivo, nell’intento di restituire dignità all’esame e incentivo allo studio e alla preparazione individuale.

Sembra invece che l’unica preoccupazione sia quella di tranquillizzare le ansie dei candidati, spesso infondate ed esagerate.

E’ vero che sono stati cercati correttivi come il bonus valido per l’ammissione all’Università rapportato alla media dei voti della commissione e della scuola, ma basterà? E l’immissione nel mondo del lavoro? Non bisogna dimenticare che una grande parte di diplomati si rivolge proprio al mondo del lavoro dove il possesso di competenze, soprattutto quelle chiave, non è certo un requisito di scarsa importanza.

Forse è giunto il momento che, a distanza di quattordici anni dall’introduzione dell’esame di Stato al posto della vecchia maturità, ci si cominci a interrogare sul senso, sul valore e sulla funzione della prova che così come si svolge ora sembra mostrare tante contraddizioni. Ma soprattutto la valutazione nel suo complesso richiede un’attenzione rigorosa e un serio ripensamento.

Donatella Purger - Firstonline.info
donatellaaura@gmail.com





Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-2482857.html