La P.A. non assume più laureati E addio posto fisso, a un anno da laurea 39% è precario
Data: Mercoledì, 24 luglio 2013 ore 08:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Svanisce il sogno
dell'italiano medio di studiare, terminare l'Università e diventare un
dipendente pubblico: solo l'11% dei ''dottori'' con laurea
specialistica, oltre il triennio, ad un anno dal conseguimento del
titolo di studio lavorano nella pubblica amministrazione. A fronte
dell'83,5% che operano nel privato, cui va aggiunto il restante 5,5%
occupato nel non profit. Questi dati, presentati da Almalaurea, secondo
Anief-Confedir, "hanno un doppio significato: innanzitutto che non
bisogna più illudere i giovani, spiegandogli che lavorare nello Stato è
un risultato raggiungibile da pochi eletti; in secondo luogo che la
crisi economica, nazionale ed internazionale, complice l'inerzia dei
Governi italiani, ha ''svuotato le casse pubbliche''. Vacilla anche il
mito del posto fisso: sempre ad un anno dalla laurea, sono più i
precari dello Stato (il 39%) rispetto a quelli che operano nel privato
(il 28%). Un dato, quello della lunga precarietà a cui sono condannati
i nostri ''colletti bianchi'', su cui pesano tanto le decine di
migliaia di supplenti della scuola non immessi in ruolo malgrado la
presenza di posti liberi e precisi raccomandazioni Ue sulla
stabilizzazione del personale che ha prestato servizio per oltre 36
mesi. Ma non finisce qui. Perché a cinque anni dal termine degli studi
accademici il gap tra privato e Stato diventa ancora maggiore: il
lavoro stabile riguarda il 71% dei laureati occupati nel privato e
appena il 34% dei colleghi del pubblico impiego. Inoltre, in entrambi i
casi gli stipendi sono davvero miseri: in media attorno ai 1.200 euro
lordi (con un +3% nel pubblico rispetto al privato). ''Si tratta di
dati lavorativamente drammatici - commenta Marcello Pacifico,
presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - perché significa
che i nostri governanti rinunciano alle alte professionalita'. Facendo
arretrare il Paese di centinaia di anni. Perche' mentre al tempo di
Federico II l'Universita' serviva per formare giustizieri e giudici del
Regno delle due Sicilie, oggi lo Stato abbandona al loro destino i
giovani che hanno puntato nell'alta formazione: invece di assumerli in
base al merito, chiude la porta ai concorsi perche' non c'e' piu'
posto. Anche perche' negli ultimi 10 anni proprio nella pubblica
amministrazione ne sono stati cancellati ben 360mila. E chi va in
pensione, quando ci riesce, non viene piu' sostituito''. Secondo
Anief-Confedir, il rapporto Almalaurea sul futuro professionale dei
nostri laureati rappresenta quindi un brutto spot per tenere lontani
dagli atenei gli studenti diplomati. E che va a incidere su un quadro
gia' a dir poco deprimente: gli ultimi dati ufficiali internazionali
indicano, infatti, che fra i giovani italiani laureati di eta' 25-34
anni sono appena sopra il 20%, contro la media dei paesi Ocse superiore
al 35% (il 38 nel Regno Unito, il 41 in Francia, il 42 negli Stati
Uniti, addirittura il 55 in Giappone). Nella fascia di eta' 30-34 anni,
strategica per realizzare la societa' della conoscenza e per competere
a livello internazionale, il quadro non e' molto diverso: la presenza
di laureati in Italia non raggiunge il 20%. E' tutto dire che
l'obiettivo strategico che la Commissione Europea ha individuato come
me'ta da raggiungere entro il 2020 il 40% della popolazione di 30-34
anni laureata. Una soglia per noi quasi impossibile da centrare, almeno
nel breve periodo, ma che hanno gia' incamerato meta' dei paesi
dell'UE''.
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