‘U zu Carmine e Ciccineddu alla trebbiatura
Data: Domenica, 14 luglio 2013 ore 08:00:00 CEST Argomento: Redazione
E venne il tempo di
trebbiare il grano di contrada “Vaccaro”, ed i “due compari”, ‘u zu
Carmine e Ciccineddu, partirono, allegramente,… per la faticosa impresa.
‘U zu Carmine era contento del suo lavoro, ed anche il suo giovane
asino, Ciccineddu, si sentiva soddisfatto per aver trasportato nell’aia
il grano “bellè”, pronto per essere trebbiato.
Dopo il lavoro di mietitura, in contrada Vaccaro, ‘u zu Carmine appurò
che i covoni di grano (i ‘regni) erano pronti per la trebbiatura, e
così, di buon mattino, si recò sul posto, mise il basto (‘u varduni) a
Ciccineddu, poi vi appoggiò “a scaledda”, ed aiutato da suo figlio
Gaetano, caricò le fasce di spighe in groppa a Ciccineddu, due per ogni
lato, per trasportarli (carriarli) presso l’aia (‘a pisera) che si
trovava nei pressi del cimitero.
Intanto nell’aia, già di buon mattino, si trovava la famiglia do’ zu
Carmine, la moglie Nunziata e le figlie Maria e Concetta, che assieme
ad altre famiglie erano pronte per la trebbiatura del grano, (‘a
spagghiatura), anche perché tale lavoro (spagghiari ‘u frumentu) si
trasformava, ogni anno, in una vera e propria “sagra paesana”, dove
nelle aie gli uomini, aiutati dagli animali, “facevano di tutto”:
lavoravano, consumavano il pasto che avevano preparato e stavano
insieme per parlare delle varie vicissitudini. Dopo la festa del
patrono, la trebbiatura (‘a pisata ‘pi spagghiari ‘u frumentu) era
un’occasione da non perdere per le famiglie del paesino nebroideo.
Dunque, ‘u zu Carmine, aiutato dal figlio Gaetano e dal suo giovane
asino Ciccineddu, cominciò a trasportare (carriari) i covoni (i ‘regni)
nell’aia (‘a misera) per iniziare il lavoro di trebbiatura, e dopo
averli “carriati” nell’aia, condusse Cicineddu nella vicina biviratura,
pulì l’acqua con la mano, per far bere l’asino, e poi tutti e due
ritornarono verso “‘a misera” dove già erano stati slegati i covoni,
pronti per essere trebbiati.
Arrivati sul posto, ‘u zu Carmine e Ciccineddu, si accinsero a
“pestare” le spighe di grano; il padrone guidava amorevolmente il suo
asino che si lasciava condurre nei giri sull’aia sopra i mucchi di
covoni, pestandoli con particolare cura e dedizione.
Questo lavoro durò fino a mezzogiorno, poi ‘u zu Carmine e la sua
famiglia si prepararono a consumare il pranzo sull’aia, insieme alle
altre famiglie, dialogando allegramente tra un sorso di buon vino,
contenuto nei barilotti di legno (‘i ciaschi), e un piatti di olive
cunzati.
Ma prima ‘u zu Carmine pensò a Ciccineddu, dandogli un’abbondante dose
di erba (‘a vizza) e di paglia, e facendogli bere un secchio d’acqua
fresca, attinta dalla vicina biviratura posta di fianco al cimitero.
Nel pomeriggio, al calar del sole e con il vento ancora favorevole, ‘u
zu Carmine e Gaetano, “armati” di tridenti, incominciarono a
“spagghiari ‘u frumentu” che, complice le folate di vento, veniva
diviso dalla pula (‘a pàgghia), cosicché i chicchi di grano, ripuliti,
si raggruppavano in mucchi.
Il lavoro di pisatura durò fino al tramonto, poi la moglie Nunziata e
le figlie, dopo aver consumato una frugale cena, si ritirarono a casa
nel vicino paesino, e così fecero anche le donne delle altre famiglie,
mentre gli uomini e gli animali rimasero nell’aia, disponendosi per
passarvi la notte, vicino al grano “spagghiatu”. Ed era un’esperienza
indimenticabile dormire nell’aia, sotto il cielo stellato, gli anziani
parlavano delle loro esperienze di vita e di lavoro ed i giovani,
tutt’intorno, ascoltavano a bocca aperta. E anche Ciccineddu, non
lontano dal suo padrone, si accovacciò sull’erba a riposare, destato,
ogni tanto, dal lento latrato dei cani delle masserie vicine.
La trebbiatura del grano era un grande momento per l’animale, sulla sua
groppa, infatti, venivano caricati i covoni da trasportare sull’aia,
faceva le “giravolte” per pestare il grano con le sue zampe: per un
giorno si “sentiva” il protagonista assoluto del lavoro dei campi!
L’indomani mattina si ricominciava con l’andare a prendere i covoni
rimasti nel podere e portarli nell’aia, mentre le donne, ritornate
dalle loro case, erano pronte per aiutare i loro congiunti.
Quando il mucchio di grano pestato era abbastanza alto, la moglie do’
zu Carmine e le figlie, cominciarono a cernere co’ crivu il frumento
così da poterlo liberare da ogni impurità per poi metterlo in appositi
sacchi per portarlo a casa. Il lavoro della cernita (‘a crivata), co’
crivu , consisteva nel fare in modo che venivano separati dal frumento
i rimasugli “impuri” della paglia (‘a pàgghia), ‘a spògghia.
Anche la paglia veniva lavorata, veniva raccolta in apposite sacche e
portata in locali adiacenti alle stalle, ‘i pagghiari, per poi darla da
mangiare agli animali durante il periodo invernale. Per chi aveva degli
appezzamenti lontani dal paese, la paglia, ‘a pàgghia, veniva sistemata
in appositi locali, i “burgi”, per essere ben conservata.
E così, dopo un’intera settimana di duro lavoro e una proficua
trebbiata, ‘u zu Carmine e Ciccineddu, si concedettero il meritato
riposo settimanale.
La domenica mattina, dopo aver fatto colazione, il padrone scese nella
stalla, spazzolò il suo giovane asino, gli diede una piccola dose di
zucchero, lo condusse alla gebbia per farlo bere, e dopo aver fatto il
giro del paese, tutti e due, con calma, “passiannu”, ritornarono a
casa… per riposare e pensare alla prossima impresa, laggiù, nel paesino
dei Nebrodi, posto ai piedi della Timpa Abate.
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it
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