Precari PA: per quelli di scuola e sanità niente proroghe e assunzioni
Data: Lunedì, 03 giugno 2013 ore 05:00:00 CEST Argomento: Sindacati
Appello di
Marcello Pacifico (Anief-Confedir) ai parlamentari che stanno
esaminando il decreto, approvato il 17 maggio scorso dal CdM: lo
slittamento dei contratti a tempo determinato al 31 dicembre 2013
esclude i dipendenti dei due comparti. Eppure la direttiva 1999/70/CE,
recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, non parla di
dipendenti eletti e altri figli di un dio minore. Perché lo Stato
italiano si ostina a non volere stabilizzare i suoi dipendenti precari
che hanno operato per almeno 36 mesi nella scuola e nella sanità? A
chiederlo pubblicamente, rivolgendosi in particolare ai parlamentari, è
Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e
i quadri professionali, a seguito dell’arrivo in commissione Finanze
della Camera del decreto, approvato il 17 maggio dal Consiglio dei
Ministri, che proroga al 31 dicembre prossimo i contratti di lavoro
subordinato a tempo determinato di circa 100mila dipendenti pubblici.
Come noto, si tratta di uno slittamento di contratti che già superano
il limite dei 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (come previsto
dall'art. 5, comma 4 bis del decreto legislativo 368/01). Proroghe, tra
l’altro, che, in attesa della stabilizzazione dello stesso personale,
possono essere adottate solo dopo un accordo decentrato con i sindacati
rappresentativi. Ora, visto che l’Italia sembra finalmente tenere conto
di quel decreto legislativo, quindi della direttiva 1999/70/CE del 28
giugno 1999, viene da chiedersi per quale motivo la sua adozione viene
meno quando si tratta di stabilizzare i precari della scuola e della
sanità. Ora che il decreto contenente la proroga è giunto all’esame
degli organi parlamentari competenti, Anief e Confedir chiedono quindi
ai deputati che lo stanno esaminando di emendare quel testo e di farlo
valere indistintamente per tutti i dipendenti precari della pubblica
amministrazione. Dal momento in cui si stanziano delle risorse per la
cassa integrazione dei dipendenti pubblici, al pari dei privati, e si
allunga la durata massima dei contratti a temine, non si capisce
infatti per quale motivo solo alcune categorie professionali,
appartenenti allo stato “datore di lavoro”, lo Stato, debbano esserne
escluse. Come non si comprende con quale logica alcuni sindacati
rappresentativi abbiano avallato questa diversità di trattamento. “È
evidente che questa condizione – commenta Pacifico – non può essere
‘sine die’, visto che nello Stato non ci sono i dipendenti figli di un
dio minore. Perché la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il
decreto legislativo 368/01, indica solo che dopo 36 mesi di servizio,
anche non continuativo, il datore di lavoro ha il dovere di procedere
all’assunzione definitiva del dipendente. A tal proposito, vi sono dei
precedenti nazionali importanti. Come quelli adottati durante l’ultimo
governo Prodi, a seguito dell’approvazione delle leggi 296/2006 e
247/2007”. “La proroga del termine di scadenza concessa a quasi 100mila
dipendenti pubblici – continua il sindacalista Anief-Confedir – è una
notizia in sé positiva. Tuttavia rende ancora più irrazionale e
illogica la discriminazione che si attua in Italia verso diverse decine
di migliaia di precari che operano da anni nei comparti pubblici di
scuola e sanità. E lo diventata ancora di più – conclude Pacifico - dal
momento in cui la diversità di trattamento è stata presa in esame in
Lussemburgo dal tribunale di giustizia europea, dove i giudici
sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilità delle norme
italiane derogatorie ad un legge che, come tutte, è nata per essere
uguale per tutti”.
Anief.org
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