I classici sono la riserva del futuro
Data: Venerdì, 31 maggio 2013 ore 08:30:00 CEST Argomento: Redazione
Dante ci
richiama all’esercizio della ragione e dell’etica
cristiana.
Nel mondo odierno, appiattito tutto sul presente, incapace di
distinguere il contingente dal Necessario, il finito dall’Infinito, il
temporale dall’Eterno; inaridito e disorientato dalla civiltà dei
consumi, e dal relativismo etico, tanto "secolarizzato" da ritenere del
tutto superflua ogni indagine metafisica che si faccia carico
della ricerca di Dio, è ancora utile leggere e studiare la Commedia di
Dante? L’interrogazione non è retorica, se si pensa che a scuola, oggi,
è diventato sempre più difficile l’approccio dei giovani studenti con
il sommo Poeta. Lo trovano distante dai loro interessi! E invece,
il capolavoro di Dante, è un’opera modernissima che a noi
lettori del secolo XXI può dare ancora risposte validissime.
L’etica che guida la poesia del Nostro nel suo itinerarium ad
hominem, anzi in homine, prima che ad Deum, è quella dialogica,
allocutiva e didascalica, che richiama al senso della rettitudine, del
dovere e della responsabilità personali : “Ch’io solva il mio dovere
anzi ch’i’mova” ( Purg X v. 92); un’etica che invita a resistere
alle tentazioni, a rafforzare la volontà sull’istinto, a
condannare ogni forma di corruzione, e a sospettare dei cattivi
maestri che danno cattivi esempi.
Nel sentire collettivo odierno, parecchi dei vizi capitali non sono più
considerati manifestazione del male e di un’inclinazione dell’uomo a
perdersi per sempre, né sono vissuti come frutto della subordinazione
dell’istinto alla ragione. I vizi, oggi, vengono considerati come
forme di malessere esistenziale. E così: l’accidia (tepidezza nel
seguire il bene), è diventata depressione ; gli eccessi di gola
sono considerati forme di relazione patologica nei confronti del
cibo(come nel caso della bulimia o della anoressia); l’ira
(incapacità di autocontrollo), viene vista, nei suoi eccessi,
come una forma di disagio psichico. La lussuria, infine, ( vizio
legato alla sessualità sganciata dai suoi fini strettamente
procreativi), non è più affatto considerata dalla morale comune
come un peccato, quanto piuttosto come una libera disposizione
alla sessualità.
In realtà, il peccato ha un’origine razionale. Se ogni creatura - come
insegna San Tommaso - cerca naturalmente quello che crede il proprio
bene, il vizio coincide, allora, in un’errata identificazione di quel
bene. Proviamo a “secolarizzare” il messaggio di Dante. Esso ci
richiama al dovere della vigilanza: “ Non ciascun segno è buono”.
E’ necessario per il cristiano vigilare e tenere accesa la luce
dell’intelletto. Bisogna dominare istinti e passioni che allontanino
dal perseguimento del vero bene, dai doveri della vita quotidiana. Il
“laico” Dante, ci ricorda che bisogna:
1) controllare l’etica dei sentimenti;
2) vigilare e non fidarsi dei "ciechi che si fanno duci" (Purg.
XVIII,v.18);
3) sospettare delle mode che esaltano il linguaggio del desiderio,
della sessualità di tipo narcisistico e dell’avventura fine a se
stessa;
4) diffidare di una letteratura e di una comunicazione di massa che
tendono all’omologazione dell’intimo e che alimentano ogni giorno
nell’immaginario collettivo il culto della “bella persona”, del
corpo come strumento di piacere, del "Tabernacolo" dove si adorano gli
idoli "falsi e bugiardi", destinati a spegnersi lasciando il
gusto amaro della sconfitta e dell’inganno.
Vigilare e sospettare. E ricordare che bisogna usare le "agute luci de
lo intelletto", se non si vuole scambiare la realtà
con la sua immaginazione, la vita vera con la finzione televisiva
o cinematografica o letteraria. Questo è il richiamo di Dante, valido
oggi più che mai!
Oggi, che i giovani soffrono atrocemente l’assenza di un Modello,
e che non sanno a chi assomigliare.
Nuccio
Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
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