Uno scrittore non finisce mai di dire quello che ha da dire. Calvino, 28 anni dopo
Data: Domenica, 19 maggio 2013 ore 08:00:00 CEST
Argomento: Redazione


Il mito del labirinto si fonda sull’opposizione dialettica tra ordine e caos. In realtà, esso, solo in età moderna acquista una categorizzazione psicologica inquietante. Il labirinto, infatti, come emblema di mistero, è un’idea che nasce nel secolo XVII, col barocco; appartiene a quest’epoca storica  la fioritura iconografica del labirinto come luogo di disorientamento e di disordine, espressione della condizione  tragica dell’esistenza umana smarrita di fronte all’inestricabile, e insieme attratta dalla sfida di venire a capo dell’intrigo, dell’ingarbugliamento.
Nell’immaginario della letteratura del Novecento, codesta attrazione, mediata anche dalla eredità ottocentesca del romanzo gotico, e dalle filosofie in vario modo irrazionalistiche, ha  assunto le caratteristiche della ricerca spasmodica  delle ragioni dell’essere; ragioni che sfuggono,  irrelate come sono con la complessità labirintica, nascoste nelle strutture stesse del disordine,  ma alle quali, tuttavia, non  possiamo rinunciare, pena un andare disorientante e disordinato, che sarebbe come  un  riconoscimento di sconfitta, un perdersi e uno smarrirsi nel  ”non senso” angosciante dell’esistenza.

La sfida al labirinto, sì! Ma vogliamo vincerla. Scrive H.M. Enzensberger:
"Il labirinto è fatto perché chi vi entra si perda ed erri. Ma il labirinto costituisce pure una sfida al visitatore perché ne ricostruisca il piano e ne dissolva il potere. Se egli vi riesce avrà distrutto il labirinto; non esiste labirinto per chi lo ha attraversato".

Orbene, è proprio sulla struttura del  labirinto con la sua  polidimensionalità, e con sue opposizioni binarie, che si modella  la sfida scrittoria contrastiva  della poetica di Italo Calvino. Dalla complessità  del reale lo scrittore non  esce  sfuggendola, o ignorandola ( cosa che non si può), ma affrontandola  e formalizzandola nella scrittura del romanzo, o meglio, dell’iper-romanzo, che è il luogo, - come scrive Calvino- (richiamandosi alla lezione della  scrittura gaddiana del “pasticciaccio”, e non solo),  in cui : ”[…] ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni  e divagazioni diventano infinite. Da qualsiasi punto di partenza  il discorso si allarga a comprendere orizzonti sempre più vasti, e se potesse continuare a svilupparsi in ogni direzione arriverebbe ad abbracciare l’intero universo”.

E ancora : “ […] la grande sfida per la letteratura  è il sapere tessere insieme i diversi  saperi  e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo”.  A differenza della letteratura medievale che tendeva a opere ordinate, prodotte da un pensiero sistematico e unitario ( si pensi alla Divina Commedia), ” i libri moderni che più amiamo nascono dal confluire e scontrarsi d’una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare, stili di espressione. Anche se il disegno generale è stato minuziosamente progettato, ciò che conta non è il suo chiudersi in una figura armoniosa, ma è la forza centrifuga che da esso si sprigiona, la pluralità dei linguaggi come garanzia d’una verità non parziale”. (Calvino)

Sulla scorta di queste affermazioni s’intuisce come  Calvino non ami tutta quella letteratura che tende a narcotizzare, per così dire, la totalità esistenziale dell’io per annegarla nell’indifferenziato magma dell’oggettività, abolendo il punto di vista coscienziale, la dialettica tra soggetto e oggetto. Non l’ama, codesta letteratura, perché essa sì, sarebbe una caotica, disordinata e disorientante elencazione di oggetti giustapposti (si pensi alla tipologia di labirinto che trionfa nella linea di Robbe-Grillet),  incapace  di qualsiasi atto liberatorio;  una scrittura  bloccata  nelle spire della sua mimesi del reale, impotente ad offrire la chiave per uscire dal labirinto e dominarlo.

La scrittura a struttura labirintica, propostaci da Italo Calvino, soprattutto in alcuni dei  suoi romanzi e racconti più significativi, procede come una lunga catena, come un puzzle infinito, che si snoda e si costruisce continuamente con una libertà e una ricchezza inventiva inesauribili. Un labirinto che non esiste  più  per chi ha il coraggio e la forza, l’intelligenza e la curiosità di  attraversarlo, e di sapere  riportare ad “ un livello di vitalità positiva il caos labirintico che, scisso dal suo logos, non sarebbe se non inutile groviglio”( Monica Filograno).

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com

Fonte bibliografica:
Monica Filograno:  I.Calvino e i percorsi labirintici ( sta in La scrittura, rivista letteraria trimestrale, anno 1,n.21996. Stango editore.
Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988.
(Le lezioni  furono concepite  da Italo Calvino nel 1985 per un ciclo di sei  conferenze all’Università di Harvard, Cambridge, nel Massachusetts. La morte lo colse mentre vi stava lavorando).





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