La solitudine dell’uomo di scuola
Data: Martedì, 14 maggio 2013 ore 06:30:00 CEST
Argomento: Redazione


L’uomo, la donna, forse più l’uomo. La scuola consuma lentamente il docente che ogni anno, ogni biennio, ogni triennio, vede cambiare i propri alunni ma li vede essere di un’età progressivamente sempre più distante dalla sua. Affetto, memoria più o meno gradevole, gratitudine più o meno accentuata, rancore più o meno occultamente espresso. Non può esserci vera amicizia con i propri utenti, con le dovute necessarie e straordinarie eccezioni. Non c’è dopolavoro per i lavoratori della scuola, un luogo dove ritrovarsi nel tempo  libero. Gli incontri nelle sedi dei sindacati sono motivo ed effetto di scontri e/o rivalità, difficilmente luogo di scambio e solidarietà. Il rispetto non è proprio di quell’età giovanile o, peggio, adolescenziale. I genitori, interlocutori spesso obbligati e rancorosi, difficilmente apprezzano. A volte si, grandemente, ma la stima passa presto e si dimentica, perché la durata del rapporto non consente una sua lunga persistenza.
Diversamente da quanto l’opinione comune immagina, non resta tempo per altro all’uomo di scuola. Se docente, l’anno scolastico non lascia respiro e la sospensione estiva (sempre più breve) allontana tanto da stabilire un rapporto di amore odio che si trasforma in condizionamento mentale permanente.
La scuola domina i tuoi pensieri dentro e fuori dell’istituto, sempre. Ciò più naturalmente e con responsabile pesantezza se ne sei il capo. Una volta c’era da un lato la società colta, fatta di insegnanti ai vari livelli, fino all’università, e la società produttiva di artigiani, mercanti, operai. Restavano fuori poche personalità il medico, il parroco, il farmacista, il notaio, l’ingegnere professionista. Benevolmente la società colta veniva cooptata (in circoli e associazioni) dalle personalità note. Ciò valeva per il piccolo comune come per i quartieri delle medie e grandi città.
Oggi tali relazioni non esistono più. L’appartenenza al club service o a più esclusive conventicole (fraternità, massonerie  ed altro) comportano più esclusive e costose cooptazioni che nulla hanno da spartire con i vecchi circoli dei nobili o dei cosiddetti professionisti, come anche con le antiche associazioni pro loco.
Resta la famiglia ed i luoghi di socializzazione occasionali, legati a manifestazioni particolari quali mostre, conferenze. Qualche recente associazione professionale o di ex colleghi di qualcosa sono oggi per l’uomo e per la donna di scuola luoghi d’incontro tra pensionati nostalgici. Chi lavora non si mescola con chi ha tempo perché non lavora.
È per ciò che manca un disegno educativo e formativo nella società di oggi. La cosiddetta comunità educante degli anni settanta e ottanta del Novecento non può immaginarsi ridotta ai Consigli ed ai Collegi, né agli incontri scuola-famiglia. Ecco perché non esiste più. Ed ecco perché, mancando una società educante professionalmente qualificata, i disperati tentativi di riforma della scuola brancolano tra stupide motivazioni economiche ed instabili quanto inconcludenti presunte teorizzazioni educative.
Se c’è un luogo ideale dove il passato, la storia, il vissuto (cioè l’esperienza) conta poco è proprio la scuola. È per questo che tante occasionali innovazioni tentate sono quasi sempre un ritorno inconsapevole e casuale a momenti del passato già vissuto ma presto dimenticato.   

Roberto Laudani
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