Della mia impareggiabile vita. Intervista possibile a Gabriele D’Annunzio (II Parte)
Data: Domenica, 28 aprile 2013 ore 07:15:00 CEST
Argomento: Redazione


Comandante, subito dopo la guerra, lei compie la famosa “impresa di Fiume”…
«Ah, Fiume…! È stata una delle imprese più belle e avventurose della mia vita! Nel 1919 organizzai, con i miei “legionari”, la liberazione della città italica di Fiume. Io personalmente guidai la spedizione militare, alla testa dei miei famosi “legionari”, tra i quali vi era anche Silvio Montanarella, marito di mia figlia Renata, partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari, in ricordo della mia storica impresa), per liberare la città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano voluto assegnare all’Italia. Con questa impresa raggiunsi l’apoteosi della mia carriera militare… e politica! A Fiume, occupata dalle truppe alleate, già nell’ottobre 1918 si era costituito un Consiglio nazionale, con a capo Antonio Grossich, che propugnava l’annessione all’Italia. Appena la città venne liberata, instaurai subito il comando del “Quarnaro liberato”, che emanò, tra l’altro, la “Carta del Carnaro”, una vera e propria moderna Costituzione, scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, che, in parte, in seguito, ho “riveduto e corretto”. La “Carta” prevedeva, assieme alle varie leggi e regolamenti, numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l’habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale, tra cui la depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e dell’uso della droga, e il risarcimento degli errori giudiziari! Io, come sempre, sono all’avanguardia! Poi, il 12 novembre 1920, venne stipulato il trattato di Rapallo: Fiume divenne città libera e Zara passò all’Italia. Io non accettai mai quest’ignobile accordo, ma il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i miei legionari con la forza, causando numerosi morti, nel cosiddetto “Natale di sangue”. Questo vile e volgare gesto, compiuto da Giolitti e dal “Cagoja” Nitti, non lo dimenticherò giammai! Ma la storia dà torto e dà ragione! Nel 1924, finalmente, lo Stato Libero di Fiume, fu annesso all’Italia! Con mia grande soddisfazione!».

Comandante, parliamo della sua vita privata. Ci parli un po’ della sua “cucina”, sappiamo che lei è un buongustaio…
«Eh caro amico, due sono le cose per cui vale la pena di vivere, oltre, l’arte e la poesia, naturalmente: la cucina… e le donne!  Per me la cucina… è sacra,… e mangiare è un arte, un rito! Durante i miei pasti, al Vittoriale, mi isolo nella mia… camera preferita, la “Stanza della Cheli”, la sala da pranzo, riccamente decorata, in cui troneggia una tartaruga di bronzo, con il guscio della vera Cheli, la mia povera tartaruga morta… per indigestione di tuberose. Per me, il cibo è un raffinatissimo e stimolante strumento di seduzione, che anticipa il rapporto notturno vissuto nella più forte tempesta d’amore! Per questo amo regalare alle mie donne, dolci cioccolatini e marrons glacés, di cui sono ghiotto! Le mie pietanze le prepara… solamente Albina, la mia fedele governante, da me chiamata… “Santa Cuciniera”! Albina, per me, è preziosa! Oltre al compito di esaudire ogni mio desiderio culinario, deve appagare, anche, ogni mio desiderio… sessuale, reclutando le mie preferite,… le “badesse”, le mie donne di compagnia, che devono soddisfare… ogni mia fantasia erotica!».

Comandante, quali sono i suoi piatti preferiti?
«Intanto la mia tavola deve essere sempre decorati con sfarzo e gusto: amo i bicchieri di vetro soffiato, laccato, finemente decorato, e poi la mia impareggiabile argenteria, tartarughe e pavoni segnaposto, tempestati di gemme, passerotti per stecchini, spremilimoni da piatto, pulcini portauovo. Ho persino disegnato tutti i miei mobili! La mia dieta… è semplice ed elegante! Credo che la… finezza dei cibi, aiuta l’armonia della mente! Nel pomeriggio sono solito prendere il tè o un caffè e latte. Spesso, verso mezzanotte, quando rimango al lavoro nel mio studio, mi faccio portare biscotti inglesi, mele cotte e il latte. Compro solo i vini di Bordeaux, e tra gli champagne preferisco il Mumm Cordon Rouge. Però… non sono un gran bevitore di vino, preferisco… dell’ottima acqua, soprattutto, minerale! E quando manca… mi incavolo! Divoro la frutta, cotta o cruda, ad ogni pasto e fuori dai pasti. Preferisco le noci-pesche, l’uva, i mandarini, le banane ma, soprattutto, le fragole. Vado matto per una macedonia, che mi prepara Albina, composta di fette d’arancia, prive di semi, spellate, e con qualche goccia di liquore. Durante i pasti, mangio, soprattutto, uova, 4-5 al giorno, riso, carne alla griglia, quasi cruda, amo le bistecche, e qualsiasi tipo di pesci. Ma il mio piatto forte, lo confesso, è… il gelato! A volte divoro… dieci o dodici gelati di seguito, il mio preferito è il sorbetto al limone,… e sulla mia scrivania non deve mancare mai un calice… colmo di cioccolatini! Fuori casa, invece, preferisco le trattorie ai grandi ristoranti, amo gli ambienti quasi familiari, con cui vengono preparate le pietanze».

Comandante, parliamo adesso… di donne!
«Eh caro amico, vuoi sapere davvero troppo, ma mi sei simpatico, mi ricordi un caro “giovane” siciliano, anche lui… amante del gentil sesso!
Le mie “conquiste” sono state davvero tante, come faccio a ricordarle tutte!? Anche se alcune donne mi sono rimaste nel cuore… e non le ho mai dimenticate!
La mia… carriera d’amante è lunga e assai perigliosa! Nel 1883 sposai, a Roma, con un matrimonio… di riparazione (lei era già incinta di nostro figlio Mario), Maria Hardouin, duchessa di Gallese, da cui ebbi tre figli, Mario, Gabriele Maria, e Ugo Veniero. Ma il matrimonio,… per le mie numerose scappatelle, finì, dopo appena pochi anni, anche se con Maria rimasi in ottimi rapporti. Nel frattempo ho avuto un’altra donna stupenda che ricordo con affetto, Maria Gravina, da cui ebbi la figlia Renata.
Poi venne… il vero amore della mia vita: Eleonora Duse, la divina Duse! Fu nel 1892 che iniziai, con la già celebre attrice Eleonora Duse, dapprima una relazione epistolare, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Ma il nostro primo incontro avvenne nel 1894… e fu subito amore! Per me, fu come un… meraviglioso “nodo” intricato di affetti, pulsioni, sensualità e artificiosa opportunità, anche per la mia produzione artistica e letteraria. Pensa che per vivere accanto a lei, mi trasferii, persino, a Firenze, dove affittai la villa “La Capponcina” (vicinissima alla sua bella villa “Porziuncola”), che, all’occorrenza, la trasformai in un magnifico monumento “decadente”, da me definita, “la vita del signore rinascimentale”.
La relazione con Eleonora Duse, durò in maniera intensa dal 1898 al 1901, poi, nel 1904,… iniziò ad incrinarsi,… dopo il mio tradimento con Alessandra di Rudiní. Nel 1910 mi trasferii in Francia… per i troppi debiti che avevo accumulato, a causa “della mia impareggiabile vita”!… E per evitare le scocciature dei molti creditori, preferii “allontanarmi”, per cinque lunghi anni, dal mio amato Paese! Addirittura, fui costretto… a mettere all’asta l’arredamento della mia villa! Risale a questo periodo la relazione con la bella americana, Romaine Beatrice Brooks. Ricordo, con affetto, anche un’altra mia dolce amante, Luisa Baccara! E poi tante altre,… che non ricordo neppure il nome,… ma solo il profumo,… e i loro occhi! Ricordati, caro amico, che le donne sono come il buon vino! Compra sempre quello buono, ma non berlo mai tutto, perché rischi di dissipar la mente… e le tasche!».

E cosa mi dice della villa del Vittoriale? Casa sua … e degli italiani!
«Il Vittoriale… è il mio regno, e il mio rifugio! All’ingresso di casa mia ho fatto scrivere, “Io ho quel che ho dato”. Quella villa è il frutto della mia superba e inimitabile vita! E la dedico alla mia amata patria! Nel febbraio 1921, dopo l’amaro epilogo dell’esperienza di Fiume, mi ritirai, in solitudine, nella villa di Cargnacco, a Gardone Riviera, sul lago di Garda, che pochi mesi più tardi acquistai. La ribattezzai il “Vittoriale degli italiani”! L’ho ampliata e trasformata, con il mio “gusto” geniale, in un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici, di cui la mia stessa persona costituisce il momento di attrazione centrale! La mia casa e la mia vita sono… un’opera teatrale!
Successivamente, mi impegnai, addirittura, per la crescita e il miglioramento di tutta la zona del Garda: la costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda, la famosa Statale 45 bis Gardesana Occidentale, da me ribattezzata “Meandro”, per via delle tortuosità e dell’alternarsi delle buie gallerie e dell’azzurro lago, da me fortemente voluta, progettata e realizzata dall’ing. Riccardo Cozzaglio, segnò il termine del secolare isolamento di alcuni paesi del Lago di Garda».

Comandante, cos’è per lei l’arte?
«Per me l’arte si presenta come strumento di una diversa aristocrazia, elemento costitutivo del vivere inimitabile, suprema affermazione dell’individuo e criterio fondamentale di ogni atto».

Comandante, lei crede in Dio?
«Io sono ateo, ma ciò non significa che non mi ponga dei problemi morali, anzi! Me li pongo con la piena consapevolezza di ciò che comporta, perché non delego a delle divinità la decisione di ciò che è giusto o errato. Me ne assumo consapevolmente la responsabilità! Vedi, io so che le mie colpe, se colpe ho, non si riscattano col pentimento o infliggendomi delle punizioni. Io sono un uomo libero, la terra è la mia sola patria perché non ci vivo provvisoriamente. La mia storia incomincia e finisce qui! Io non ho un inferno da temere, né un cielo in cui sperare. Secondo me possiamo contare solo su noi stessi. Non è una soluzione di comodo quella che ti propongo; è una soluzione che affronta la verità dell’esistenza. E che non cerca rifugio nella fede in un Dio confezionato dalla nostra fantasia e che in un’altra vita assegna il premio o la pena».

Cosa vorrebbe dire ai suoi tanti amici, e nemici?
«A tutti i “politicastri”, amici e nemici, conviene dunque ormai disperare di me. Amo la mia arte rinovellata, amo la mia casa donata, amo le mie donne possedute! Nulla d’estraneo mi tocca, e d’ogni giudizio altrui mi rido! Ti consiglio, caro amico, di dirlo anche ai… tanti amici e nemici… del tuo amato paesello siculo!».

Gabriele D’Annunzio morì, la sera del 1º marzo 1938, per un’emorragia cerebrale, mentre, nel suo tavolo da lavoro, aspettava l’ora di cena. Ai funerali di Stato, voluti in suo onore dal regime fascista, la partecipazione popolare fu immensa. Il feretro, avvolto dalla bandiera del Timavo, era seguito dalla «…folla innumerevole degli ex legionari, degli ammiratori, dei devoti alla sua gloria e alla sua fama».
È stato sepolto nella sua villa, al Vittoriale degli Italiani.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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