Della mia impareggiabile vita. Intervista possibile a Gabriele D’Annunzio (Parte I)
Data: Domenica, 21 aprile 2013 ore 07:30:00 CEST Argomento: Redazione
Poeta,
guerriero, amante, – nella letteratura, in politica, e nella seduzione
– Gabriele D’Annunzio ha dominato, con la sua personalità di uomo e di
artista, mezzo secolo di vita italiana. Rivoluzionò la cultura e la
figura dell’intellettuale, facendo della sua stessa vita un’opera
d’arte e influenzando diverse generazioni. I suoi versi immortali, le
sue geniali imprese eroiche, i suoi gesti “teatrali”, le sue
“invidiabili” avventure sentimentali, gli scandali, veri o presunti,
hanno destato scalpore e risonanza internazionale. Di Gabriele
d’Annunzio, spesso, sono state messe in evidenza più i “vizi” che le
virtù, più le “colpe” che i meriti. Eppure, nessuno come lui, nemmeno i
suoi più accesi detrattori, hanno potuto ignorare le sue eccezionali
qualità di poeta, scrittore, pensatore, “Maestro di vita”,
attribuendogli il titolo profetico di “Vate d’Italia”. Come letterato e
poeta fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione
poetica italiana…»
«Ho vissuto la mia vita come fosse un’opera d’arte, e l’arte come fosse
la vita! Questo è il mio motto!»
Comandante, ci racconti la sua “inimitabile” vita…
«Memendo audere semper! Caro ragazzo, ricordati di osare sempre! Io,
nella mia lunga e impareggiabile vita, ho amato sempre, ho fatto tutto
per amore, solo per amore! E ne ho combinato di tutti i colori!»
Iniziamo dalla sua infanzia…
«Ho avuto un’infanzia felice, ricordo la grande sensibilità di mia
madre, il temperamento sanguigno e passionale di mio padre, mio
fratello e le mie tre sorelle, a cui sono rimasto legatissimo per tutta
la vita. Ma la figura che ricordi con maggiore affetto è quella di mio
zio Antonio D’Annunzio (da cui ho preso il cognome), che mi “adottò”,
mi insegnò a vivere e ad amare. Poi, in seguito, venne fuori il mio
“caratterino”, ambizioso e dirompente, contro tutto e tutti! Ricordo,
che mentre frequentavo il prestigioso istituto “Convitto Cicognani” di
Prato, mio padre finanziò la pubblicazione della mia opera prima,
“Primo vere”, una raccolta di poesia che ebbe un grande successo,
grazie anche ad un mio piccolo… “trucchetto pubblicitario”! Feci
diffondere, furbescamente, la falsa notizia della mia morte per una
caduta da cavallo! E si sa che la curiosità è donna, così i miei
lettori… si incuriosirono a tal punto che quel mio libro ebbe… un
inaspettato e incredibile successo! Dopo aver concluso gli studi
liceali, accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunsi a
Roma, dove mi iscrissi alla Facoltà di Lettere».
Poi, ha incontrato la politica…
«La politica è sempre stata la mia passione! Mi ci sono “buttato”… per
la mia amata nazione italica! Nel 1910, a Parigi, insieme a Corradini,
aderii all’Associazione Nazionalista Italiana. Volevo una nazione
forte, importante e, soprattutto, dominata dalla “volontà di potenza”,
e non la solita… Italietta, meschina, pacifista e imbelle».
E poi venne la Prima Guerra
Mondiale…
«Certo, la Grande Guerra! L’Italia doveva assolutamente partecipare a
quella guerra… di liberazione e di rinascita, per il suo glorioso
futuro! Nel 1915 ritornai immediatamente in patria, dove, tra l’altro,
rifiutai la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli,
condussi, invece, un’intensa propaganda interventista, inneggiando al
mito di Roma, del Risorgimento e dell’immortale eroe dei due mondi,
Giuseppe Garibaldi. E il discorso celebrativo che pronunciai a Quarto,
il 4 maggio 1915 (in occasione della sagra dei Mille), suscitò un
grande entusiasmo, ben oltre le mie aspettative, così come il comizio
che tenni a Roma, il 13 maggio. Il popolo italiano, al mio grido, era
pronto ad entrare nel conflitto mondiale. E durante le radiose giornate
di maggio, anch’io, naturalmente mio arruolai come volontario, nei
lancieri di Novara. Non sono certo il tipo… dell’armiamoci e partite!
Io sono sempre in prima linea, e, nonostante avevo già ben 52 anni,
partecipai subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree contro
il nemico! Mi acquartierai, persino, a Cervigano dei Friuli, vicino al
Comando della III Armata, a capo della quale c’era il mio amico e
grande estimatore, Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta».
Ci racconti com’era la sua vita al
fronte?
«Al fronte, caro ragazzo, ho dato sfogo, finalmente, al mio
temperamento ed al mio ardimentoso coraggio! Mentre la battaglia
infuriava non potevo stare, certamente, con le mani in mano! Iniziai
subito la mia guerra! Nel settembre 1915 partecipai ad una prima
pericolosa incursione aerea su Trento e, nei mesi successivi, sul
fronte carsico, ad un attacco lanciato sul monte San Michele, durante
le battaglie dell’Isonzo. Purtroppo, il 16 gennaio del 1916, a seguito
di un atterraggio d’emergenza, rimasi ferito per un “banale” urto
contro la mitragliatrice del mio aereo, riportando una lieve lesione
all’altezza della tempia e dell’arcata sopraccigliare destra. Nel mezzo
della battaglia… avevo ben altro a cui pensare, e così, mal curata,
purtroppo, la ferità mi provocò la perdita dell’occhio. Vissi così un
periodo di lunga convalescenza, durante la quale fui assistito da mia
figlia Renata. Tuttavia, contro i consigli dei medici, tornai a
combattere! Nel settembre 1916, partecipai, prima ad un’incursione
aerea su Parenzo, poi, nell’anno successivo, con la III Armata, alla
conquista del Veliki e al cruento scontro, presso le foci del Timavo,
nella decima battaglia dell’Isonzo».
Ci parli, invece, delle sue azioni
più spettacolari, la famosa “beffa di Buccari” e il mitico “volo su
Vienna”…
«Ah, quelle sono le azioni che conserverò per sempre nel mio cuore! La
patria, in quell’ora cruciale, aveva bisogno di coraggio e di eroi,… ed
io, con le mie… geniali trovare, ho “dato” coraggio… e sono diventato…
un eroe! L’impresa di Buccari ebbe una grande risonanza in Italia, in
una fase della guerra in cui gli aspetti psicologici stavano
acquistando un’incredibile importanza, il mio contributo, come al
solito, è stato determinante! Il nostro messaggio lasciato nelle tre
bottiglie, dopo essere entrati di soppiatto, in profondità, nella rada
di Buccari, con i nostri mitici MAS, dove erano stanziate diverse unità
navali nemiche, ebbe grande diffusione e contribuì a risollevare il
morale del nostro esercito, impegnato sul Piave! Dei sei siluri che
lanciammo, solo uno esplose: il nostro! Gli austriaci diedero
immediatamente l’allarme, ma noi riuscimmo a riguadagnare il largo tra
l’incredulità dei posti di vedetta dei nemici che non credettero
possibile che unità italiane fossero entrate nel porto, con tanta
profondità! Tre bottiglie… con messaggio, suggellate dai colori
nazionali, furono lasciate, su dei galleggianti, nella parte più
interna della baia di Buccari. Per l’Italia, che si stava
riorganizzando dopo il disastro di Caporetto, l’eco della riuscita
dell’impresa fu notevole e rinvigorì lo spirito dei soldati e della
popolazione!».
E il famoso “volo su Vienna”?
«Il volo su Vienna, del 9 agosto 1918, fu un’impresa ardimentosa
compiuta dall’87^ Squadriglia di Aeroplani, detta la Serenissima! Ben
11 velivoli, al mio comando! Il volo, progettato da oltre un anno,
aveva delle difficoltà tecniche, legate soprattutto all’autonomia degli
apparecchi, per una trasvolata… di mille chilometri! Il nostro Comando
Supremo, infatti, in un primo tempo, ci aveva negato il consenso! Poi,
dopo aver effettuato delle prove di collaudo,… ci autorizzò! Partimmo
alle 5.50 del mattino, dal campo di aviazione di San Pelagio (Padova)
e, dopo un volo di oltre mille chilometri, sorvolammo Vienna, la
capitale dell’Impero Austro-Ungarico! Il volo aveva solo un “carattere”
strettamente politico-dimostrativo,… noi non facciamo giammai la guerra
contro donne, bambini e anziani. Con questo raid aereo volevamo solo
dimostrare che l’Italia… dominava incontrastata… finanche i cieli della
capitale nemica! Furono anche lanciate 350 mila copie di un
manifestino, scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco, in cui…
salutavamo gli “amici” viennesi! Che coraggio,… e che ridere!».
La partecipazione alla “Beffa di Buccari” e al “Volo su Vienna” (1918),
completarono lo “stato di servizio” del comandante Gabriele D’Annunzio.
Al termine del conflitto «egli apparteneva di diritto alla generazione
degli assi e dei pluridecorati», e il coraggio dimostrato, insieme alle
celebri e superbe imprese di cui era stato protagonista, ne
consolidarono ulteriormente la popolarità. Si congedò con il grado di
tenente colonnello, inusuale, all’epoca, per un militare non di
carriera. Poi, la storia… prese un’altra strada… Nell’immediato
dopoguerra, D’Annunzio si fece portatore di un diffuso malcontento,
insistendo molto sul tema della “vittoria mutilata”, chiedendo, in
sintonia con altri nascenti movimenti politici, il rinnovamento della
classe dirigente italiana. Lo stesso malcontento trovò, ben presto, un
altro convinto sostenitore: Benito Mussolini, che nell’ottobre 1922,
con la Marcia su Roma, sarebbe diventato il Duce del fascismo.
Ma questa… è un’altra storia…
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it
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