Replica ad un Dirigente Scolastico - L’autonomia dai 'presidi-manager'
Data: Sabato, 30 marzo 2013 ore 06:00:00 CET Argomento: Opinioni
Di recente ho
letto un post scritto da un Dirigente Scolastico, il quale
oppone una serie di obiezioni critiche alle mie esternazioni
sull’autonomia scolastica. Onestamente, confesso di aver riscontrato
spunti interessanti e validi per sviluppare ed approfondire
ulteriormente il mio ragionamento. Per cui provo ad esplicitare meglio
le mie posizioni.
Sarà probabilmente dovuto al caso o alla mala sorte, diciamo pure così,
ma sta di fatto che, malgrado il mio intervento lasciasse trasparire
una pessima immagine della scuola, numerosi colleghi hanno
esplicitamente approvato il mio pezzo apparso su vari siti web.
Per precisare meglio alcuni concetti sarò costretto ad addentrami nel
merito delle questioni, facendo dei precisi e circostanziati
riferimenti alle mie esperienze professionali pregresse. Eviterò di
raccontare alcuni episodi particolari, evitando opportunamente di fare
nomi e, soprattutto, cognomi. Mi scuso in anticipo se sarò alquanto
esteso nella esposizione, ma temo che sia inevitabile dilungarmi
oltremisura.
La scuola dove ho insegnato per vari anni era “appestata” dalla figura
paternalista e dal ruolo accentratore e monocratico della preside, con
tutte le conseguenze più deleterie che ne derivavano a livello
interpersonale: cumuli di ipocrisie, veleni, rancori personali, abusi,
angherie, prepotenze, furbizie, finti vittimismi, opportunismi e
dualismi esasperati ad arte (per la serie “divide et impera”, una
formula cara ai potenti di ogni tempo e luogo) e quant’altro ho sempre
biasimato e continuerò a deprecare con tutte le forze in mio possesso,
trattandosi di comportamenti assolutamente sleali e disdicevoli.
Tutti sanno cosa sono le “vendette trasversali”. Con questo termine,
nel gergo mafioso, si indicano le ritorsioni punitive perpetrate a
danno di congiunti o affini dei cosiddetti “infami”: siano essi
pentiti, delatori o funzionari dello stato, insomma chiunque sia
bollato come un nemico o un traditore dalle cosche mafiose. Per
estensione iperbolica si potrebbe affermare che le “vendette
trasversali” non sono una prerogativa esclusiva delle associazioni di
stampo mafioso e camorrista, ma si iscrivono nel codice di
comportamento “tipicamente umano”. Con la differenza che, altrove, in
ambienti non tecnicamente malavitosi, per realizzare propositi di
vendetta si ricorre a sistemi meno cruenti, come l’ipocrisia ed altre
forme di perfidia sistematica, il discredito lesivo volontario, il
pettegolezzo velenoso o, peggio, le molestie e i maltrattamenti
psicologici, l’emarginazione e l’indifferenza collettiva, ma non per
questo, ossia per il fatto di non essere fisicamente brutali, si tratta
di atteggiamenti meno riprovevoli e più accettabili.
Una volta ho discusso animatamente con una preside, di cui taccio
opportunamente il nome; durante l’acceso confronto sono emerse profonde
divergenze d’opinione rispetto ai termini, ai tempi e alle modalità
organizzative, ai destinatari e alle finalità educative di un progetto,
nella misura in cui contrastavano in modo stridente con l’ipotesi
pianificata. Il capo d’istituto insisteva per promuovere il classico
dibattito, oltretutto senza contraddittorio, utile solo ad ottenere
visibilità mediatica e a riscuotere eventuali consensi da spendere
politicamente. Come in altre circostanze, sono entrato in rotta di
collisione con la mentalità propria di chi dichiara in partenza di
concedere “carta bianca” ma poi cerca di manipolare a proprio
piacimento le persone, trattate in modo paternalistico alla stregua di
burattini, come sono adusi molti datori di lavoro delle aziende
private. In sostanza, taluni presidi hanno la tendenza ad applicare nel
mondo della scuola quelle pratiche a dir poco discutibili apprese dalla
peggiore politica. Altro che “super partes”. E’ evidente che in un
contesto ambientale come quello dipinto con tinte inevitabilmente
oscure, qualsiasi iniziativa pedagogica e culturale che si distingua
per l’originalità, portata avanti in modo pulito, coerente e
disinteressato, con onestà e trasparenza, con impegno, intelligenza e
passione creativa, rischi di essere inquinata e mortificata da chi
persegue solo finalità utilitaristiche in maniera cinica e
spregiudicata.
E’ curioso ma inevitabile scoprire che la maggior parte degli esseri
umani si comporta alla stregua dei polli di Renzo, che si beccano tra
loro mentre dovrebbero solidarizzare, quantomeno per il comune destino
che li attende. Personalmente non so dire se si tratti di una questione
di origine genetica, connessa alla cosiddetta “natura umana”, o se sia
un problema di ordine culturale, riconducibile a fattori materiali e
spirituali, dunque anche al processo educativo, alla formazione etica
ed intellettuale, alle abitudini sociali indotte dal sistema economico
e politico in cui si è inseriti dalla nascita. In ogni caso, è certo
che taluni dirigenti “giocano” a dividere, ossia intervengono proprio
su questo atteggiamento di reciproca avversione e competizione, non
importa se innato o indotto.
Inoltre, non ritengo sia una colpa ascrivibile ai docenti se taluni
dirigenti scambiano l’autonomia scolastica per una sorta di tirannia
personale, se la legge precede incentivi economici per promuovere le
attività progettuali extracurricolari soprattutto in termini di laute
percentuali a beneficio dei presidi, o se esistono molteplici tipologie
di fondi aggiuntivi da cui è possibile attingere per sovvenzionare
l’ampliamento e l’arricchimento dell’offerta formativa delle scuole
autonome. A tale riguardo chiarisco subito, a scanso di eventuali
equivoci, che non sono contrario, a priori, ai progetti di qualità e di
valore.
Quello delle “attività aggiuntive” a carattere non obbligatorio, ossia
gli impegni progettuali extra-curricolari, è un altro tema molto serio
avvertito dal corpo docente.
Nel campo della didattica e dell’istruzione scolastica, i criteri di
quantità e qualità sono in genere difficilmente conciliabili tra loro,
nel senso che l’una esclude l’altra. In genere la quantità di tipo
"industriale" rischia di inficiare la qualità creativa di un progetto.
Ciò è vero a maggior ragione in un sistema educativo, laddove i
progetti sono prodotti in serie, praticamente standardizzati. In tal
modo le singole istituzioni scolastiche rischiano di diventare vere e
proprie “fabbriche di progetti”, ovvero “progettifici scolastici”. Con
inevitabili ripercussioni negative sulla qualità e sul successo
formativo dei giovani allievi.
Per non parlare dei continui, imbarazzanti strappi alle regole, delle
reiterate e inopinate violazioni di norme e diritti sanciti dalla
legge, delle frequenti scorrettezze e furbizie commesse all’interno
delle singole scuole, derivanti da invidie, rivalità personalistiche ed
altre meschinità che sono gestite male all’interno di un paradigma
dirigista ed accentratore, in virtù di una leadership pateticamente ed
artificiosamente paternalista.
Stendiamo dunque un velo pietoso: le scuole sono ormai ridotte ad
essere progettifici privi di qualità. E’ evidente che i
progettifici scolastici sono deplorevoli non per una presa di posizione
aprioristica o astratta, ma per motivi di ordine pratico. Nulla mi
impedirebbe di avallare i progetti di qualità, purché siano discussi e
realizzati seriamente, ma nel contempo sono cosciente che i casi
virtuosi sono eccezioni assai rare. Invece, i progettifici scolastici
si caratterizzano negativamente anzitutto per l’assenza di creatività e
trasparenza, per elementi di inefficacia e inadeguatezza degli
interventi, per una mancata rispondenza ai bisogni formativi e
socio-culturali degli studenti, mentre obbediscono solo a logiche
mercantili ed affaristiche. Non è un caso che si chiamino progettifici
in quanto si configurano proprio come fabbriche di progetti che
sacrificano la qualità per privilegiare e premiare soprattutto la
quantità industriale.
Ribadisco ancora una volta che non sono affatto contro i progettifici
per rivendicazioni ideologiche astratte, ma per ragioni molto concrete
legate alla mia esperienza diretta.
Vengo ora alla questione cruciale della scarsa trasparenza nella
gestione politico-finanziaria e della democrazia collegiale, che versa
in condizioni di estrema decadenza.
Dall’emanazione nel 1974 dei Decreti Delegati che istituirono varie
forme e strumenti di democrazia collegiale nella scuola, la
partecipazione alla vita e al funzionamento degli organi collegiali si
è progressivamente ridimensionata e deteriorata, fino ad essere sancita
solo sulla carta. Oggi il potere decisionale detenuto ed esercitato
all’interno degli organi collegiali (Consigli di Istituto, Collegi dei
docenti, Consigli di classe, interclasse e intersezione) esclude sempre
più la maggior parte delle famiglie, degli studenti, del personale
docente e non docente. In pratica l’esercizio del potere
politico-decisionale nelle singole realtà scolastiche è riservato ad
una ristretta cerchia oligarchica formata dal Dirigente scolastico e
dai suoi più stretti e fidati collaboratori.
Esaminiamo il caso emblematico di un organo essenziale come il Collegio
dei docenti.
Un tempo il Collegio dei docenti era la sede deputata a discutere di
argomenti più elevati, vale a idre tematiche di tipo psico-pedagogico,
per cui gli insegnanti più aperti, curiosi, motivati, culturalmente
preparati e coscienti, avevano modo di confrontarsi e di maturare sotto
il profilo intellettuale e professionale. Oggi i Collegi dei docenti
sono ridotti ad essere centri di ratifica puramente formale e di
adesione acritica alle delibere assunte altrove dai Dirigenti e dai
loro staff di collaboratori. L’avallo avviene in genere mediante
procedure antidemocratiche che esautorano e mortificano la dignità e la
sovranità decisionale dei Collegi stessi. Questi sono ormai il luogo
più alienante e passivizzante in cui al massimo si affrontano questioni
finanziarie, senza fornire la dovuta trasparenza informativa e
normativa, senza riferire alla platea collegiale tutti i dati, le
notizie ed i parametri relativi al budget effettivo di spesa delle
singole scuole.
Insomma, i Collegi avallano spesso e volentieri senza nemmeno conoscere
fino in fondo l’oggetto reale posto all’ordine del giorno
all’attenzione degli organi collegiali: si pensi, ad esempio, alle
somme e ai fondi economici aggiuntivi, in taluni casi piuttosto
cospicui, stanziati ad esclusivo vantaggio e sovvenzionamento di
un’esigua minoranza di colleghi che, guarda caso, finisce per
coincidere esattamente con la cerchia che fa capo al cosiddetto “staff
dirigenziale”, tanto per usare una terminologia assai cara ai
“presidi-manager” e tipica del triviale gergo aziendalista che oramai
imperversa nelle scuole.
Da troppi anni la scuola pubblica italiana risente di un deficit
crescente di collegialità e dialettica democratica. In modo
particolare, gli spazi di libertà e partecipazione si sono ridotti,
subendo colpi letali inferti dai precedenti governi senza soluzione di
continuità.
Con l’istituzione dell’autonomia scolastica e l’applicazione della
legge n. 53/2003 (meglio nota come “riforma Moratti”, a cui ha fatto
seguito l’opera di affossamento compiuta dalla Gelmini, affiancata in
questo disegno demolitore dal ministro Brunetta) è stata introdotta una
dei ruoli di stampo oligarchico, imponendo un’impostazione autoritaria
e creando una profonda divisione gerarchica nel quadro delle relazioni
umane e professionali tra i lavoratori della scuola. In particolare,
all’interno del corpo docente si è prodotta una netta disparità di
redditi e funzioni non corrispondenti a meriti o capacità reali, a
qualifiche professionali o specifiche competenze, innescando un
processo di mercificazione delle mansioni didattiche e un effetto di
aziendalizzazione (oltretutto maldestra) degli ordinamenti e dei
rapporti interni, caratterizzati in termini di comando e
subordinazione, che hanno logorato ed azzerato la democrazia collegiale.
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato come l’avvento dell’autonomia
scolastica e l’attuazione della “riforma Moratti” non abbiano
sortito esiti positivi in termini di apertura delle scuole alle
reali esigenze del territorio. La formulazione giuridica dell’autonomia
non ha stimolato le scuole ad esercitare un ruolo di traino culturale
rispetto al contesto sociale di appartenenza. In troppi casi le
istituzioni scolastiche assumono posizioni di sudditanza psicologica
verso i poteri egemoni a livello locale: mi riferisco anzitutto alle
Pubbliche Amministrazioni, che si dimostrano incapaci o restie a
finanziare le iniziative progettuali di arricchimento qualitativo
dell’offerta formativa. A ciò si aggiunga un imbarbarimento dei
rapporti umani, per cui si assiste a conflittualità sempre più
frequenti. Tale degenerazione è una conseguenza dell’autonomia, che non
ha generato equità ed efficienza, ma ha creato solo irrazionalità,
contrasti, assenza di certezze, violazione di norme e diritti,
premiando gli atteggiamenti più arroganti e furbeschi, esasperando le
rivalità e gli egoismi più venali. In questo disegno restauratore e
disgregatore sono palesi le responsabilità politiche dei precedenti
governi che hanno avviato la demolizione della scuola pubblica e della
democrazia partecipativa, per cui il precedente governo Berlusconi ha
avuto la possibilità di infliggere il colpo letale al diritto
costituzionale all’istruzione grazie alla controriforma varata dal
ministro Gelmini.
In tal modo lo stato di confusione, disorientamento, la crisi delle
norme democratiche e sindacali, si sono accentuati, acuendo le
contraddizioni intestine al mondo della scuola.
Spero che queste ulteriori riflessioni siano chiare ed esaurienti,
ancorché non esaustive.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com
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