La maestra Silvia non usava la penna rossa
Data: Sabato, 16 marzo 2013 ore 06:00:00 CET
Argomento: Redazione


Essere educatori, coraggio di una presenzaGiovedì 14 marzo 2013, nell’auditorium del Liceo “G. Lombardo Radice” di Catania è stato presentato il libro curato da Michele De Beni dal titolo “Essere educatori, coraggio di una presenza”. Il libro raccoglie il contributo di diversi pedagogisti e studiosi italiani che, a partire dall’esperienza della giovane Chiara Lubich  come maestra di una pluriclasse nelle valli trentine durante la seconda guerra mondiale, spiegano le ragioni dell’emergenza educativa della nostra società e, nello stesso tempo, il libro, molto efficace nella sua disamina, prova a fornire elementi per dare una risposta a tale emergenza.
Il punto di partenza del volume è la descrizione del metodo di insegnamento della maestra Silvia Lubich, come si chiamava allora prima di divenire la fondatrice del Movimento dei Focolari, che risulta  straordinariamente attuale.  Se si ripensa al periodo nel quale la maestra Silvia svolse il suo incarico, durante la barbarie del secondo conflitto mondiale, la scuola elementare aveva l’obiettivo di ridurre l’analfabetismo e fornire agli allievi gli strumenti del leggere, dello scrivere e del far di conto. Silvia aveva chiaro questo obiettivo nel suo lavoro di insegnante e, quindi, perseguiva questo intento con convinzione.
A quel tempo le insegnanti venivano reclutate dopo avere fatto pochi anni di istituto magistrale e, quindi, già a 18 anni si ritrovavano a svolgere questo ruolo con bambini di diverse età poiché nei villaggi e nei paesini di montagna si formavano le cosiddette pluriclassi. Gli autori, da Daniele Bruzzone a Italo Fiorin, da Lucio Guasti a Giuseppe Milan, solo per citarne alcuni, pongono l’accento sul “valore aggiunto”, come si direbbe oggi, del metodo di insegnamento di Silvia. Sicuramente…
1) L’attenzione che poneva agli ultimi, a quelli che avevano difficoltà di apprendimento;
2) Il fatto di mettere al centro del suo intervento didattico la “persona” dell’allievo.
Nel primo caso la maestra Silvia aveva la pazienza di aspettare, di spiegare più volte con chiarezza finché tutti capissero, di rallentare se necessario perché al centro della sua azione didattica non c’era il “programma” da svolgere, bensì l’allievo che doveva acquisire, come si dice adesso, conoscenze e abilità.
Questo suo modo di fare non era solo frutto di “formazione” professionale specifica ma anche un modo di essere che scaturiva da scelte di vita chiare e determinanti.
Questo a significare che la professione docente richiede:
1) Una grande competenza disciplinare in quanto l’insegnante deve padroneggiare la materia a tal punto da poterla smontare, rimontare, proporla in modi diversi in base alle esigenze formative di ogni allievo.
2) Una conoscenza approfondita delle dinamiche relazionali che possono manifestarsi nell’ambito di un gruppo classe;
3) Una grande capacità di “porre attenzione all’altro”.
Un altro aspetto attualissimo della professionalità docente di Chiara era la sua capacità di cooperare con i colleghi, di dare suggerimenti a chi glieli chiedeva, ma sempre con atteggiamento umile e collaborativo. Oggi si parla di team docenti, ma sappiamo la fatica degli insegnanti a intendersi, a progettare percorsi didattici comuni perché spesso ci si arrocca in convinzioni che impediscono di accettare l’opinione dell’altro.
Un ultimo aspetto che desidero sottolineare dell’opera di Chiara Lubich come insegnante è la capacità, nonostante il momento storico che non faceva intravedere un futuro, di pensare con lungimiranza all’esigenza di istruire e formare i suoi allievi perché potessero avere un prospettiva di vita. Oggi si parla di “orientamento formativo” ovvero della necessità di preparare i piccoli e i giovani ad un mondo globalizzato e, come qualcuno afferma, “mondializzato”, centrato sullo sviluppo delle competenze scientifico-tecnologiche, sulla capacità di cooperare con senso critico e con strumenti linguistici adeguati.
Chi opera nella scuola si rende conto delle difficoltà di dare una risposta efficace all’emergenza educativa della nostra epoca e la maestra Silvia rappresenta certamente un modello a cui riferirsi per essere docenti/educatori efficaci.

Salvo Impellizzeri
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