Quando manca la partecipazione
Data: Martedì, 05 marzo 2013 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


Se il trascorrere del tempo rappresenta la quantità della civilizzazione e ne scandisce il ritmo, quel che costituisce la qualità della civilizzazione è l'importante processo della partecipazione.
Ogni società moderna è costruita dai governanti e dai potentati economici, ma il modo di vita sociale, il livello di civiltà diffusa è strettamente legata alla partecipazione sia nella forma della presa di coscienza e responsabilizzazione del singolo rispetto alla cosa pubblica, sia nel più semplice modo di assunzione sociale delle problematiche individuali.
Quando si afferma che la società meridionale è meno individualista di quelle settentrionali, come il carattere nazionale italiano lo è rispetto a quello anglosassone o scandinavo si cade in un facile quanto spiacevole equivoco. Si confonde la curiosità e la facilità di comunicazione tra persone, tipiche dell'anima mediterranea e meridionale in genere, con la partecipazione nel senso sopra indicato. In realtà è spesso vero l'opposto. La curiosità dei fatti altrui e la comunicazione relativa è spesso legata alla indifferenza che segue lo sfogo conoscitivo riguardo al problema, la commiserazione o l'imprecazione contro il male agente. È difficile che segua un intervento correttivo inteso alla risoluzione del problema o la protesta organizzata ed efficace rispetto al male agire pubblico o sociale.
Il catanese è, in tale contesto, un maestro di italianità meridionale o mediterranea. Il catanese protesta, motteggia, commisera, disprezza, satireggia, ironizza, difficilmente partecipa o aiuta contribuendo alla soluzione del problema. Se la via Duomo a Napoli è sempre sporca perché ogni  commesso/a di negozio ritiene di avere il diritto/dovere di gettare in strada il cartoccio del babà mangiato sulla soglia, con assoluta indifferenza, il catanese lamenta lo sporco di via Etnea, protesta per le tracce di cani incontinenti su tutte le aiuole urbane, impreca contro ogni concittadino incivile ed ogni sindaco indifferente al terzomondismo avanzante, ma butta lo stesso il fazzoletto usato in strada o lascia l'escremento del suo caro amico se nessuno l'osserva all'istante.
Va peggio per l'attenzione agli altri ed il rispetto dell'ambiente sociale e urbano. Tutti si preoccupano degli altri ma se la costruzione di una rete sociale che sia di protezione dell'ambiente, difesa del territorio o di aiuto ai deboli, è concepita in maniera da comportare una rinuncia o dei controlli che limitino la sfrenata individualità del soggetto, meglio lasciar perdere o, meglio, ci si affanna a parlarne per costruirsi un solido alibi e tranquillizzare le coscienze.    
Chi ha problemi da noi cerca la raccomandazione per risolverli in via privilegiata, vendendo l'anima al politico o al mafioso di turno (la differenza la cerchi ognuno per sé) dato che sarebbe impensabile che si attivi a spese della comunità sociale, da noi inesistente, una corretta amministrazione del bene pubblico o una rete di protezione pubblica, che funzioni da riequilibrio per le grandi differenze che creano il disagio grave. Si aspetta quindi servendo i forti e potenti di oggi che venga il proprio turno per diventare potenti e forti, sì da potere offrire protezione a quelli che domani costituiranno la nostra forza, attraverso il consenso politico e l'obbedienza personale.
La storia del nostro sud ha molta responsabilità in tutto ciò, nella mancanza di uno sviluppo liberale e borghese dove anche la giusta solidarietà ha un suo valore, ma è anche vero che la storia la fanno gli uomini ed è comodo per questi cercare la propria affermazione individuale per lasciare ad altri (la chiesa nel migliore dei casi, la mafia nel peggiore) il compito del riequilibrio sociale.
La tolleranza, spesso unita al disprezzo, sta molto bene nel contesto, sì che possiamo continuare ad avere una città invivibile, gli accattoni ad ogni angolo ed una schiera di clientes a disposizione del potente di turno.  

Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it





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