La rinuncia del papa, un gesto di governo e di battaglia
Data: Domenica, 03 marzo 2013 ore 08:15:00 CET
Argomento: Redazione


Adesso che non c’è più il papa, adesso che “è salito al monte per dedicarsi ancora di più alla preghiera e alla meditazione”, adesso che l’abbiamo visto entrare, dimesso e rasserenato, a Castel Gandolfo, solo adesso ho intuito, secondo il mio parere, perché Joseph Ratzinger ha rinunciato a guidare la Barca di Pietro. Ma andiamo con ordine… Certo, quel lunedì 11 febbraio, la notizia delle dimissioni del papa, del Vescovo di Roma, del successore di Pietro, è stata, veramente, come una bufera in un mattino d’estate, ci ha lasciati sgomenti, sbigottiti ed esterrefatti, non tanto perché è un avvenimento unico, è la prima volta, infatti, nella storia millenaria della cristianità, che si verifica un “avvenimento” del genere, almeno in questi termini, settecento anni dopo le leggendarie dimissioni di Celestino V.
Senza dubbio, secondo me, le dimissioni di un papa, sfigurano, distruggono, quasi, l’immagine stessa del papato, e, soprattutto, del concetto di impegno, di servizio, di responsabilità e di corresponsabilità di cui il vescovo di Roma è latore e propugnatore.
In molti, probabilmente, abbiamo pensato, che è troppo facile lasciare, rinunciare alla croce, “Cristo non è sceso dal Gòlgota”, così come papa Wojtyla, di cui ancora conserviamo il ricordo del suo volto, trafitto dal dolore, ma presente, alla Chiesa, sino all’ultimo respiro.
E, ancora, vorrei sapere se questa “sofferta” decisione è stata discussa con i suoi più stretti collaboratori, se è stata soppesata, centellinata, o se, invece, è stata una scelta presa, come sempre, in solitudine, senza consultare nessuno, e in barba alla tanto decantata collegialità ecclesiastica, di cui tanto si parla nei sinodi, nei seminari, nel Concilio Vaticano II, ma di fatto inesistente.
Ma con il passare dei giorni, m’è sembrato di carpire l’intima intenzione del papa, il motivo segreto delle sue dimissioni, la causa del suo abbandono repentino del soglio pontificio. Intanto, con il suo gesto, Benedetto XVI, ha “smacchiato” veramente, il velo offuscato d’ambizione e di vanità del potere, il vascello colmo di brama e di vanagloria terrena. Le dimissioni del papa, sono uno schiaffo al corpo malato della chiesa, una frustata al corpo claudicante della nostra fede, un pugno al perbenismo ed alla fragilità dei credenti del mondo, un monito al flaccido modo di professare la nostra fede. “I cristiani sono nel mondo, ma non sono del mondo”.
Benedetto XVI intima i credenti alla battaglia in difesa della fede cristiana, alla radicalizzazione della fede, alla lotta per la fede, cioè, con questo “nobile” gesto, secondo me, ha voluto dire ai credenti, che non è più tempo di “tirare a campare”, non possiamo vivere la fede “all’acqua di rosa”, come una “leggiadra passeggiata al chiar di luna”, non possiamo più vivacchiare, non ci possiamo più permettere il lusso di andare solo “a processioni e a missi”, non si può più vivere la fede per forza d’inerzia, per “sentito dire”, o per “eredità familiare”; Ratzinger chiama, invece, alla radicalità della fede, del vivere la fede con convinzione, bisogna essere convinti delle cose che si fanno, come si fanno, a chi si fanno, e chi li fa! Bisogna essere cristiani a 360 gradi e per 365 giorni l’anno! Il papa, d’altronde, l’aveva detto svariate volte, “Sono moderato nei comportamenti, ma radicale nei convincimenti”. Questo, a mio parere, è il grande messaggio che papa Benedetto XVI ha voluto lanciare al mondo con l’atto di “abbandono” del Soglio di Pietro, e solo un uomo di profonda e adamantina fede come lui era in grado di compiere, solo un papa teologo, profondo conoscitore e difensore delle fede e della dottrina poteva concepire. Un’azione che vale molto di più di una semplice enciclica papale, un gesto che farà molto rumore, e che resterà nella storia della chiesa, a imperitura memoria…

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it





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