Platone e la sua Repubblica
Data: Domenica, 03 marzo 2013 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


Platone, il grande filosofo greco dell’antichità classica, nacque ad Atene, si presume, nel 428 o 427 a. C., e morì nel 348 o 347 a. C. Il suo vero nome era Aristocle, ma fin da giovinetto venne chiamato Platone, con allusione, probabilmente, alla sua corporatura robusta ed in particolare alle sue ampie spalle, da platýs, che in greco significa, appunto, largo. Un’altra tradizione vuole alludere alla vastità della sua cultura ed alle sue dottrine.
La sua discendenza paterna veniva fatta risalire a Codro, l’ultimo leggendario Re di Atene, mentre da parte di madre discendeva dal legislatore Solone. Egli, appartenente ad una famiglia di aristocratici, venne istruito nelle scuole di alto rango di quel tempo. Studiò musica, pittura, lettere, filosofia. Fu iniziato agli studi di filosofia da Cratilo, filosofo di tendenze eraclitee, ma fu decisivo il suo incontro con Socrate avvenuto pare nel 408 – 407 a. C., che divenne il suo Maestro.
Platone scrisse molte composizioni poetiche e drammatiche e molti scritti di lettere, di filosofia e di trattati sociali. Egli dette una “forma dialogica” a quasi tutti i suoi scritti, tranne “l’Apologia di Socrate” e le “Lettere” che sono l’espressione fedele e viva della forma stessa del suo pensiero.
Il sapere, per Platone, non è un insieme di cognizioni trasmissibili dall’esterno, ma un patrimonio dell’anima che rimane, per così dire, latente fino a che qualche “stimolo” non ne risvegli il ricordo. L’organo che coglie le forme immutabili nel variare delle cose è la ragione.
Egli scrisse, usando l’allegoria, cioè l’artificio stilistico, per cui l’espressione di un concetto è sostituita da una descrizione o rappresentazione di un complesso di fatti concreti, legati al concetto da un rapporto simbolico più o meno evidente.
Uno dei suoi scritti più celebri e suggestivi è dedicato ad uno schiavo incatenato fin da fanciullo in una caverna (Repubblica - VII).
La Repubblica, scritta in dieci libri, è l’opera più importante e vasta di Platone, ed è interamente dedicata alla giustizia e all’organizzazione dello Stato.
La concezione politica di Platone si basa su un presupposto etico, e precisamente sulle idee di giustizia, virtù suprema ed onnicomprensiva, della quale partecipano sia il singolo cittadino come individuo, che lo Stato nel suo complesso.
Dello Stato, sorto per servire le esigenze della convivenza umana, Platone delinea in quest’opera, considerata l’opera maggiore del filosofo, la costituzione ideale. Analizzando il pensiero di Platone, soprattutto nella sua concezione dello Stato, volendo fare una similitudine con quel che è accaduto e che accade, ai giorni nostri, nella “nostra amata Repubblica italica”, voglio condividere una piccola porzione del suo pensiero, che si trova nel libro VIII de La Repubblica.
“Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui; che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi e questi, per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.
Con “amaritudine”, rispecchiandomi nel pensiero di Platone, vissuto tanti secoli fa, debbo constatare che stiamo vivendo nel “clima” di questo scritto. Realmente, vi è fame di libertà, anche se, a mio modesto parere, la libertà deve sempre essere accompagnata dalla giustizia, senza la quale, si precipita nel “vicolo cieco” del “io posso fare tutto”, o del tristemente noto, “Ghe pensi mi”. Una certezza mi sento di esprimere, come diceva Platone a proposito dei “coppieri”, oggi ci sono troppi venditori, troppi dispensatori senza scrupoli, e, dai tempi di Platone ai giorni nostri,… non vi è niente di nuovo sotto il sole! Credo che la situazione attuale rispecchia molto il pensiero di Platone. Cambierà questo “clima”? Difficile che cambi qualcosa, difficile…

Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it





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