Quell'atto di rinuncia, apre una nuova stagione di rinnovamento spirituale nel mondo dei credenti
Data: Giovedì, 28 febbraio 2013 ore 07:00:00 CET
Argomento: Redazione


Benedetto XVI, dopo otto anni di alto e rigoroso, e - direi - mistico ministerio petrino, a partire dalle otto di sera del 28 febbraio del corrente anno 2013, sarà Papa "motu proprio" dimissionato. Il soglio pontificio, di fatto, resterà vacante, in attesa del nuovo annunzio "urbi et orbi" : " habemus papam"!
Senza entrare nel merito che ha spinto il Santo Padre a maturare una simile sofferta decisione, l'evento è, senza dubbio, di per se stesso, di portata "epocale" enorme, che lascia sinceramente tutti un po' sgomenti, disorientati e sconfortati, e non solo i cattolici. D'altra parte, l'atto della inauspicata rinuncia, nelle dichiarazioni misurate e decise del Pontefice, sembra assumere i toni profetici di chi vuole, non tanto lasciare il peso della croce di Cristo, e rinunciare alle proprie responsabilità "per viltà", quanto, piuttosto, interpretare in modo nuovo la propria missione di vicario di Cristo in terra, e anticipare l'avvento di una nuova età. Ma quale? Questo è il punto vero su cui riflettere attentamente, seriamente e senza pre-giudizi. Intellettuali laici atei ,o agnostici, ma anche non pochi credenti frettolosi, hanno "letto" codesta rinuncia come una "insufficienza" e "debolezza" dell'uomo; come il segnale, quasi, dell'inizio di un'età di decadenza e di distruzione dell'autorità stessa millenaria della Chiesa di Roma; in altri termini: come il presentimento di una resa prossima ventura a quella "gaia scienza" secolare del fanciullino, di nicciana memoria. Questa chiave di lettura nichilistica, - lo confesso - mi sembra oggettivamente molto debole, arbitraria e insostenibile: una forzatura quasi blasfema. Io ritengo, invece, che la rinuncia alla Sedia di Pietro da parte di Ratzinger, e al potere che da quella cattedra deriva, sia non un atto di cedimento né, tanto meno di "viltà", ma un forte esempio di coraggio e di saggezza che rafforza e arricchisce piuttosto l'ecclesia, non la discredita. E' l'atto di un cristiano consapevole dei propri limiti, della fragilità propria dell'essere uomo. Ma anche dei nuovi tempi! Chiudendosi nel recinto di Pietro, Ratzinger propone un modo diverso di essere uomo di Dio: non ha smesso affatto la croce, ma si è rimesso ai piedi del Cristo crocifisso come l'ultimo dei suoi servi, e il più bisognoso di aiuto e di preghiera, facendo donazione gratuita di sé a Dio e agli uomini nel raccoglimento della sua coscienza. La rinuncia e le dimissioni di Benedetto, non sono, dunque, segno di nessuna forma di implosione dello spirito della Chiesa ecumenica, che resta forte e vitale; né lasciano, tantomeno, spazio per potere indulgere al gaio nichilismo negatore della verità e della fedeltà assoluta ai valori del Vangelo! Quell'atto di rinuncia, apre una nuova stagione di rinnovamento spirituale nel mondo dei credenti: richiama il cristiano ad essere nel mondo ma non del mondo; un gesto esemplare e coraggioso di umiltà e di rifiuto della gloria del potere mondano, fatto in nome di una ricompensa più grande e più vera e più duratura: quella del regno dei cieli, del regno di Dio, che è amore e carità infinita.

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com





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