Precari - Stabilizzazione / Scatti 31 Agosto - 150.000 euro a un precario per mancata stabilizzazione. Condanna storica del giudice del lavoro su un r
Data: Domenica, 24 febbraio 2013 ore 02:00:00 CET Argomento: Sindacati
150.385 euro netti,
più accessori e interessi, a un solo ricorrente dal giudice del lavoro
di Trapani. Battuto dai legali Anief, coordinati dagli avv. Ganci e
Miceli, ogni record come risarcimento danni subiti per lucro cessante e
danno emergente per mancata stabilizzazione e misura adeguata a
condannare il comportamento illecito. Il Miur condannato al pagamento
di scatti e mensilità estive per gli anni pregressi (2005-2011) e per
gli anni futuri fino all’età pensionabile, con un’addizionale del 10%
in via equitativa per i possibili mancati contratti. La necessità
dell’assunzione per pubblico concorso non può giustificare deroghe alle
disposizioni che limitano il potere di abuso del datore di lavoro nello
stipulare contratti a termine, né proteggere patrimonio di soggetti
pubblici, né autorizzare comportamenti contra legem della pubblica
amministrazione. Nel ricorso n. 1658/11, il giudice Petrusa ha tenuto
conto della recente giurisprudenza e della legislazione comunitaria e
nazionale. Il docente precario di educazione fisica e sostegno aveva
ottenuto dal 2005 diversi contratti da supplente su posti vacanti e
disponibili, ma insegnava già dal 2001. Per il presidente dell’Anief e
delegato Confedir alla scuola e alle alte professionalità, Marcello
Pacifico, si tratta di “una giusta condanna che risarcisce in maniera
adeguata i precari danneggiati dai comportamenti illegittimi del Miur.
Delle due l’una: o la Corte di Lussemburgo deciderà che in Italia la
normativa scolastica derogatoria sui contratti a termine è contraria
alle disposizioni comunitarie e quindi va disapplicata oppure il
risarcimento dei danni deve essere così dissuasivo da comprimere
l’arbitrarietà illecita della P. A. e dare adeguata soddisfazione ai
lavoratori”. “In questo senso – conclude Pacifico – la sentenza del
giudice del lavoro di Trapani può fare scuola dopo la recente pronuncia
della Cassazione che paventava un possibile grave danno erariale alle
Casse dello Stato fissando dei nuovi criteri risarcitori. In ogni caso,
è confermata la dottrina secondo cui non vi possono essere trattamenti
economici diversi tra lavoratori precari e di ruolo mentre il contratto
al 31 agosto deve essere sempre riconosciuto se il posto è vacante e
disponibil,e come Anief ha sempre denunciato dall’inizio del 2010”.
Il commento giuridico alla sentenza da parte del Presidente Anief,
prof. Marcello Pacifico
La normativa nazionale e la giurisprudenza comunitaria: l’obbligo delle
misure dissuasive e sanzionatorie
Il giudice in premessa richiama la normativa vigente, compreso l’art.
4, comma 14 bis, della legge 124 del 1999 introdotto di recente, e
prende atto che nella normativa italiana non si ravvisano disposizioni
che riconducano la materia della assunzioni della scuola alla
disciplina generale sui contratti di lavoro a termine. Tuttavia, nel
riprendere la sentenza n. 143/11 della Corte di Appello di Perugia,
ritiene paradossale come a fronte di precariato scolastico
diversificato, a seconda delle supplenze annuali, al termine delle
attività didattiche o temporanee, nel nostro Paese si possa ritenere
legittimo l’assunto secondo cui si può assumere reiteramente a termine
su posti vacanti sol perché questi stessi posti un giorno dovranno
essere assegnati a procedure concorsuali o sol perché esiste una
stabile esigenza - mai spiegata - di copertura di posti liberi. Questo
assunto, infatti, è ritenuto difficilmente conciliabile con le
disposizioni comunitarie che individuano puntuali condizioni da
soddisfare perché il termine a un contratto non comprometta la tutela
di interessi fondamentali dei lavoratori. In ciò, la giurisprudenza
comunitaria è chiara: la normativa nazionale deve prevenire gli abusi
dei contratti a termine e sanzionarli nel perfetto recepimento della
clausola 5 della direttiva 1999/70/Ce, recepita nel nostro ordinamento
dal D.Lgs. 368/01.
La sentenza Adelener del 4 giugno 2006 della CGUE è chiara: il giudice
nazionale ha l’obbligo di provvedere laddove possibile
all’interpretazione delle norme di diritto interno in modo compatibile
con l’ordinamento comunitario. Quindi, nonostante la specificità delle
norme sulla scuola, ritiene che devono trovare applicazioni le esigenze
sottese alla direttiva; non è un caso se anche nella sentenza
Vassilakis del 22 giugno 2008 della CGUE le assunzioni non possono
avvenire in successione o a intervalli ridotti cosicché deduce che se
la normativa scolastica fosse svincolata dai limiti applicabili ai
rapporti a termine sarebbe in contrasto insanabile con la disciplina
vincolante comunitaria e l’intera legislazione sull’assunzione del
personale scolastico dovrebbe essere disapplicata. La carenza di
ragioni oggettive come motivo per l’annullamento dei contratti a
termine, infine, è stata, persino resa esplicita nella causa Kukuk del
26 gennaio 2012 della CGUE dove le stesse ragioni possono essere
individuate nella particolare natura delle funzioni, delle
caratteristiche a esse inerenti o dal perseguimento di una legittima
finalità di politica sociale. Queste ragioni devono essere legate a
circostanze precise e concrete che prescindono dalla loro
esplicitazione nel contratto e che nel caso della scuola devono poter
essere valutate nella discriminante tra posti vacanti e disponibili e
non vacanti ma disponibili - come ha sempre ritenuto Anief. Se un
contratto è dato a tempo determinato per ragioni sostitutive è
giustificabile la sua reiterazione; in caso contrario, se il posto è
vacante, l’amministrazione è tenuta a coprirlo attraverso
l’attribuzione di un contratto a tempo indeterminato a personale idoneo
attinto dalle graduatorie. In questo caso non vi è temporaneità del
fabbisogno cosicché se il Miur non assume deve specificare le ragioni
oggettive che non sono desumibili dalla situazione concreta e deve
chiarire le ragioni tecnico-organizzative senza ripararsi dietro il
diaframma della peculiarità del settore. A tal proposito, apodittica
appare al giudice l’affermazione dell’Avvocatura dello Stato (invero
condivisa da parte della giurisprudenza tra cui la Corte di Appello di
Milano, sentenza n. 708/12) secondo cui la peculiarità del sistema di
reclutamento scolastico esclude la sua compatibilità con il D.Lgs.
368/01.
La qualificazione e la quantificazione del risarcimento: lucro cessante
e danno emergente
Il divieto di conversione del contratto previsto dall’art. 36 del
D.Lgs. 165/01, in quanto coerente con l’art. 97 della Costituzione in
merito a buon andamento e imparzialità dei pubblici uffici, deve essere
assunto, nell’ermeneutica del giudizio, per evitare l’aggiramento delle
procedure di assunzione attraverso concorso e non per mettere in una
posizione di privilegio la P. A. sul dipendente. La stessa normativa
che impedisce la stabilizzazione dei precari nella P.A. secondo le
recenti sentenze Adelener e Vassallo del 6 settembre 2006 della CGUE,
deve essere accompagnata da misure dirette a prevenire l’utilizzazione
abusiva da contratti a termine in successione. D’altronde, in assenza
di espressioni di legge che individuano le misure idonee prescritte
dalla Corte europea, la giurisprudenza interna ha cercato di
ricostruire rimedi adeguati in via interpretativa per evitare
reiterazioni del fenomeno, ovvero della stipula di contratti a termine.
In alcuni casi è stata ripresa per analogia il risarcimento forfettario
del danno previsto dall’art. 18 della legge 300/70 che prescrive il
pagamento dalle 15 alle 20 mensilità della retribuzione globale di
fatto. Argomento non condiviso dal giudice perché in contrasto con
l’art. 14 della stessa legge, eppure non per questo preclusivo del
risarcimento del danno, comunque, da erogare per trovare adeguato
rimedio, a meno di disapplicare l’art. 36 del testo unico sul pubblico
impiego. In ciò conforta la stessa Cassazione che con sentenza n.
4417/12 accetterebbe la conformità del divieto perché il risarcimento
del danno sarebbe previsto dal nostro ordinamento con rimedi
sufficienti per prevenire e sanzionare gli abusi commessi da parte di
enti pubblici. Tra i rimedi il giudice non individua neanche
l’indennità onnicomprensiva ex art. 32 della L. 183/10 che dovrebbe
essere corrisposta soltanto nei casi di conversione ovvero come
strumento accessorio. Il risarcimento del danno, infatti, non può
trovare soddisfazione nell’applicazione del criterio legato
all’emolumento aggiuntivo tra le 2,5 e le 12 mensilità, adottato nella
conversione del rapporto a termine che è preclusa nel pubblico impiego
rispetto al privato, con evidente disparità di trattamento tra
lavoratori pubblici e privati. Pertanto, ritiene che la strada
percorribile per punire l’illecito sia la responsabilità in capo al
Miur del contatto sociale qualificato, ai sensi dell’ art. 1218 del
Codice civile.
La P.A. non è un passante occasionale ma soggetto con cui il
danneggiato ha instaurato un pregresso rapporto di fatto (concorso
pubblico, precedenti mansioni). Da tale rapporto scaturirebbe un
affidamento in capo a ciascuno circa il corretto comportamento
dell’altro, cioè un obbligo di protezione in capo a ciascuno dei
paciscenti che va oltre il neminem laedere così da poter assimilato a
un’obbligazione. Le stesse SS. UU. della Cassazione con sentenza n.
14712/07 hanno riconosciuto come nella responsabilità contrattuale
l’obbligazione viene in esistenza nel momento fisiologico della vigenza
se la responsabilità interna attiene proprio alla violazione di essa:
se il danneggiante non è un passante occasionale ma ha avuto rapporti
sufficientemente intensi con il danneggiato, in applicazione del
principi solidaristici previsti dall’art. 2 della Costituzione si
genera il dovere di curare l’interesse della controparte e di
rispettare l’affidamento ingenerato dal contratto sociale, ragion per
cui corre l’obbligazione di protezione la cui violazione da luogo a
responsabilità d’inadempimento, secondo l’onere della prova, la
prescrizione del diritto e l’individuazione dei danni relativi al
risarcimento. Opinione più moderna ritiene che la parte che ha subito
un danno precontrattuale abbia la possibilità di essere messo nella
posizione economica in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stata la
deviazione della trattativa, ai sensi dell’art. 1440 del Codice civile
così da individuare come dolo incidente quei danni nella perdita dei
vantaggi che il contraente avrebbe subito se non fosse stato depistato
dalla condotta dolosa di uno dei contraenti, ovvero quella lesione
dell’interesse positivo differenziale che deve essere risarcita come
medesimo danno patrimoniale, secondo gli artt. 1223, 1225, 1227 dello
stesso Codice civile, inteso nelle diminuzioni patrimoniali scaturite
immediatamente e direttamente dalla condotta (art. 1223), purché siano
prevedibili (art. 1225) e non riconducibili a fatto proprio del
danneggiato (art. 1227). In poche parole, la giurisprudenza ha chiarito
che il risarcimento deve avere ad oggetto le conseguenze che
costituiscono effetto normale e prevedibile dell’illecito lamentato
cosicché tutto il decremento patrimoniale subito dal danneggiato va
risarcito sia che la deminutio riguardi il danno emergente o il lucro
cessante applicando “del più probabile che non” e non “della certezza
ogni oltre ragionevole dubbio” come ha ribadito la Cassazione nelle
sentenze nn. 11755/06, 21619/07: nel diritto civile si deve ritenere
che il danneggiante ha causato il danno quando, eliminata la condotta,
vi è più del 51% di possibilità che il pregiudizio venga meno. In
questo caso, i danni risarcibili diventano anche quelli che si
sarebbero presumibilmente evitati e non i soli danni che probabilmente
si sarebbero prodotto, applicandosi il criterio della funzione
riparatoria dove il peso economico deve gravare su chi è meno ingiusto
che lo sopporti; tra i due soggetti, infatti, vi è un equilibrio
all’interno del quale si deve rintracciare l’elemento che faccia
ritenere meno ingiusto la sopportazione dell’onere economico
rappresentato dal danno. A questo punto, bisogna individuare nel caso
di specie, la reiterata attribuzione del contratto a termine, quale
sarebbe stata la perdita che probabilmente il danneggiato avrebbe
potuto evitare. E’ ovvio che riferendosi all’id quod plerumque accidit
il lucro cessante sia da individuare nella prospettiva di conservare il
rapporto di lavoro fino alla pensione così da considerare le
retribuzioni future come risarcimento danni e non retribuzione, nel
rispetto dell’art. 97 della Costituzione. A questo punto, è evidente
che se il Miur può non assumere, tuttavia, non può farsi scudo del
divieto di conversione per abusare dell’inferiorità della controparte.
Se l’illegittima apposizione del contratto a termine come tatto
negoziale non preclude alcuno effetto, come fatto, diventa un nomale
comportamento illecito sul patrimonio di terzi e deve dare luogo al
risarcimento del danno visto che non esiste alcuna legge che discrimina
la protezione prioritaria del patrimonio pubblico rispetto a quello
privato, né la necessità del pubblico concorso può recidere il nesso di
casualità tra condotta e danno, come ritiene il tribunale di Roma nella
sentenza del 18.09.2012: l’eliminazione della condotta illecita,
infatti, qualora intesa nella sua naturale conseguenza della cessazione
di alcun rapporto di lavoro annullerebbe lo strumento risarcitorio che
rimane l’unica tutela in capo al lavoratore. Ad avviso del giudice,
pertanto, il comportamento del Miur deve essere inteso contra legem
produttivo di un pregiudizio e non come atto negoziale produttivo di
effetti. La necessità dell’assunzione per pubblico concorso non può
giustificare deroghe alle disposizioni che limitano il potere di abuso
del datore di lavoro nello stipulare contratti a termine, né a
proteggere patrimonio di soggetti pubblici, né ad autorizzare
comportamenti contra legem della pubblica amministrazione. In questo
caso non può essere reciso il nesso di causalità tra comportamento
illecito e danno derivato, trovando applicazione l’art. 1440 del Codice
civile per il dolo incidente richiamato secondo cui quando il
comportamento di una delle parti ha determinato uno sviamento che ha
inciso sul contenuto dell’accordo, questa deve risarcire. Per quanto
riguarda la maturazione economica degli scatti di anzianità in regime
di precariato, infine, a parere del giudice, l’art. 4 comma 14bis,
introdotto alla legge 124/99 dal decreto legge 134/09, convertito nella
legge 167/09 deve essere direttamente disapplicato, in assenza di
ragione oggettive, in applicazione delle sentenze della corte di
giustizia europea del 13.09.2007 e del 15.04.08, mentre è evidente che
laddove il posto è vacante e disponibile per mesa espressione del
legislatore nazionale, debba essere riconosciuto l’estensione del
contratto ai mesi estivi con liquidazione delle somme spettanti.
Conclusioni
Il giudice, nel rigettare la domanda di conversione del contratto,
dichiara l’illegittimità delle clausole apposte nel contratto a
termine, e nel prendere in considerazione soltanto le annualità dal
2005 al 2011 durante le quali il ricorrente è stato assunto a tempo su
posti vacanti e disponibili senza il pagamento delle mensilità estive e
degli scatti di anzianità, dispone il pagamento degli stessi nella
misura di 19.750 € oltre accessori. Per il risarcimento del danno
relativo alla mancata stabilizzazione, inoltre, cagionato dal
comportamento illecito dell’amministrazione che aveva assunto il
ricorrente fin dal 2001 e che con ogni probabilità continuerà a
reiterare i contratti a termine, al netto della posta attiva del
risarcimento, atteso che il ricorrente dovrebbe percepire in futuro le
stesse retribuzioni, per evitare locupletazioni, il giudice condanna il
Miur al pagamento di 127.500 € netti, oltre interessi da capitalizzare,
di cui 51.000 € per i mesi di luglio e agosto di ciascun anno futuro,
42.500 € per la mancata progressione economica futura, 34.000 € per gli
anni in cui il ricorrente non verrà retribuito perché non assunto,
individuati in via equitativa nel 10% del periodo lavorativo residuo.
Riconosce, infine, al ricorrente il punteggio di servizio per i mesi
estivi di ciascun anno a decorrere dal 2005, e compensa le spese di
lite per i 2/3 tra i convenuti, e per 1/3 a carico dell’amministrazione
per un totale di 3.135 € oltre IVA e cpa essendo la causa del valore
tra i 100.000 € e i 500.000 € ai sensi del d. m. 140/12.
www.anief.org
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