Concorso a cattedre: il vecchio e il nuovo
Data: Lunedì, 11 febbraio 2013 ore 06:00:00 CET
Argomento: Redazione


La novità prevista nel prossimo concorso a cattedre è evidente. Certamente non è rappresentata dalla mezz’ora di simulazione di una lezione frontale davanti alla Commissione d’esame. I concorsi a cattedre, ma anche quelli per ottenere l’abilitazione ad insegnare, fino agli anni settanta dello scorso secolo la prevedevano come lezione vera e propria, senza alcuna determinazione temporale, ma con una procedura di sorteggio: una lettera estratta per la disciplina specifica, un numero per l’argomento contrassegnato da quel numero sequenziale. Neppure i trenta minuti stabiliti per la lezione frontale rappresentano una grande novità, dato l’ormai diffuso suggerimento di fissare i tempi dei colloqui nei vari esami di Stato. Piuttosto potrebbe rappresentare una novità (a parte i quiz per l’eliminatoria iniziale) proprio la mancata richiesta di svolgimento di un tema per iscritto, come la tradizione ha sempre voluto per degli esami intesi a selezionare insegnanti. È bensì vero che i vari quiz, a risposta chiusa o aperta, caratterizzano da tempo i concorsi nella pubblica amministrazione. Ma è altresì temibile che abolire il “tema” nei  concorsi a cattedre preluda all’abolizione dello stesso nell’esame di “maturità” al termine degli studi secondari. Sarà un bene? L’antica scrittura, vuoi ti tipo tacitiano vuoi di tipo ciceroniano, dei professori e di conseguenza degli allievi è da abbandonare del tutto in nome del moderno strumento informatico? Ecco: strumento. Nell’aprile del lontano millenovecentottantacinque, nel salone dell’isolato San Rocco, a Reggio nell’Emilia, la preoccupazione espressa da Umberto Eco nel corso di una tavola rotonda moderata da Gianni Letta e condotta oltre che dal noto filosofo-romanziere, da Lucio Lombardo Radice, dal direttore dell’istituto di cibernetica della Statale di Milano e da un altro cattedratico di quelle parti, davanti a numerosi allievi (tra i quali i miei del Bus-Tcs), la preoccupazione ripeto era proprio quella che l’informatica doveva sì trovare sempre più spazio nella scuola italiana e presso i giovani, ma non doveva mai cessare di essere un semplice strumento, senza annullare o sminuire il discorso ampio, la scrittura per trattazioni analiticamente motivate su fatti e problemi, la narrazione storica e politica, come l’argomentazione filosofica ed estetica. L’interesse nostro che ascoltavamo era vivo; non per nulla i miei studenti di elettronica-informatica studiavano anche filosofia.
In conclusione, credo che avere ripreso a dare speranza agli aspiranti docenti, giovani o meno, con i concorsi a cattedre sia cosa lodevole. Temo altresì che risparmiare tempo e denaro evitando di obbligare a cimentarsi nello scrivere con adeguate argomentazioni, anche diffuse, su temi specifici i futuri professori potrebbe comportare il rischio di creare una classe docente incapace di esprimere dei validi contenuti, a parole o per iscritto, in maniera compiuta, significativa ed efficace, come troppo spesso ci capita di sentire, ascoltando le cronache parlamentari, sono molti nostri governanti politici.
Tanto dovevo e volevo esprimere.

Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it





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