Stelle, di Fabrizio Centofanti
Data: Giovedì, 07 febbraio 2013 ore 04:00:00 CET Argomento: Redazione
Edito da
Effatà, esce l’ultimo libro di Fabrizio Centofanti. È qualcosa di
notevole nel panorama della letteratura italiana contemporanea.
Notevole perché unico. Dal punto di vista tecnico può forse essere
accostato al flusso di coscienza alla maniera di Javier Marias; ma, al
di là degli schemi narrativi canonici, Stelle non è uno di quei facili
romanzetti che ingombrano i banchi delle librerie. Costringe a pensare,
anche a costo di allontanarsi dal testo, anche perché dipanare le
vicende che intrecciano i molti personaggi potrebbe perfino smorzare
l’impressione, l’impatto della lettura, che riporta in vita le
atmosfere di eccesso romantico dello Streben e dello Sturm und Drang.
Questo è il motivo che mi ha convinto a non scrivere una recensione, ma
soltanto un breve rendiconto dei pensieri che mi ha ispirato. Con
un’avvertenza: può darsi che io abbia finito per tradire lo spirito del
libro; può darsi che abbia sovrapposto le mie ossessioni a quelle
dell’autore. Ma se non altro una cosa è indubbia: Stelle è un libro che
va al di là della narrazione di una vicenda. E non se ne scrivono molti
così.
Io non so se tutti i lettori sono stati educati come me. Voglio dire:
come la monaca di Monza, alla quale, da bambina, davano le bambole
vestite da suora. A me, fin dall’asilo, hanno fatto il lavaggio del
cervello sul concetto di uomo come “animale razionale”. Tutti, scuola
pubblica e privata, preti e giornalisti, politicanti e filosofi, tutti
mi hanno riempito la testa di quanto siamo speciali, ed eccezionali, e
fatti a immagine e somiglianza di Dio, per il fatto di avere a
disposizione uno strumento potentissimo come la ragione.
E come potevo sottrarmi al condizionamento, quando gli aerei
cominciavano a bucare il muro del suono, e i missili portavano l’uomo
sulla luna, e i vaccini debellavano morbillo e polio, e i chirurghi
trapiantavano il cuore, eccetera eccetera? Forse non è mai esistito un
periodo storico in cui il potere della ragione umana fosse portato alle
stelle come nella seconda metà del secolo scorso. Nemmeno nel
Settecento, in pieno fiorire dell’Illuminismo, la Ragione fu così
trionfante. All’epoca si affermava una teoria filosofica, nel 1950 se
ne vedevano gli effetti concreti.
Ebbene: mi hanno ingannato. Non è vero che la caratteristica distintiva
dell’uomo sia la ragione. Non nei termini assolutistici con cui mi
hanno pestato in testa questo concetto. L’uomo è innanzitutto
sentimento.
Centofanti lo spiega nel modo più semplice e più chiaro. Cosa può
opporre la ragione se sei sposato/a e ti innamori di un’altra/o? Cos’ha
da dire la ragione quando cerchi il senso della tua vita e non lo
trovi? Come può aiutarci la ragione quando siamo schiacciati dai sensi
di colpa? Cos’ha da spartire la ragione con i pochi, benedetti, momenti
di felicità o di cosmica beatitudine che proviamo, per esempio, nella
notte contemplando il cielo stellato?
Certo, non ha molto senso ripudiare la ragione e affrontare la vita
alla maniera dei Carmina Burana: Similis sum folio de quo ludunt venti.
Ma è altrettanto insensato pretendere che tutto ciò che proviene dal
sentimento sia irrazionale e quindi nefasto. Tanto più che la ragione è
di una noia totale, e non è neanche detto che le sue risposte siano
sempre quelle giuste. Sarà per questo che gli antichi Greci, che pure
dedicarono un’isola ad Apollo, sentirono il bisogno di importare il
culto di Dioniso?
E per chiudere il cerchio dei pensieri (abitudine razionale sì, ma non
disgiunta dal bisogno di coerenza che, in quanto bisogno, ha pur sempre
l’aspetto del sentimento), ricordo che secondo Platone il senso della
vita umana consiste nel mettere ordine nel caos, cioè nel far prevalere
la ragione sul sentimento. Ma è poi lo stesso Platone a riconoscere che
la spinta a vivere proviene dall’Amore: il primo dei sentimenti.
Riccardo
Ferrazzi - Lapoesiaelospirito.wordpress.com
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