Tutto da ridere. Quando una classe politica incompetente dichiara guerra alla ''cultura''
Data: Lunedì, 04 febbraio 2013 ore 06:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Tra
i tagli dolorosi e ingiustificati che una classe politica cinica e
insensibile ha inflitto alla cultura, forse nessuno desta stupore e
amarezza più del rinvio sine die, per la solita mancanza di fondi,
delle giornate internazionali di studio sul tema «Il sopracciglio nella
scienza, nell’arte, nella filosofia» programmate, per il 2013, dal
Festival della Scienza di Genova. Una grande occasione perduta che
avrebbe riunito nel capoluogo ligure medici, giuristi, storici della
scienza e della letteratura, filosofi, sociologi, etnologi confluiti da
ogni parte del mondo. E’, forse, superfluo ricordare che il
sopracciglio (in latino supercilium; plurale sopracciglia – e alle
ragioni per le quali al plurale non fa sopraccigli sarebbero state
dedicate ben due relazioni dei massimi glottologi europei) è lo strato
di piccoli peli al di sopra dell'occhio che assume, nell’immaginazione
poetica, la forma di un’arcata.
Non tutti, però, sanno che la sua funzione principale è quella di
impedire che liquidi quali il sudore o la pioggia arrivino nell'occhio
compromettendo in tal modo la vista. Una funzione vitale e decisiva a
illustrare la quale erano già stati reclutati studiosi provenienti
dalle Università di Harvard, dalla Stanford University nonché
dall’Istituto Superiore per lo studio del sopracciglio dei prestigiosi
Atenei di Francoforte e di Friburgo nonché dell’Université Libre di
Bruxelles.
Se si fosse limitato alla parte scientifica il Convegno genovese
sarebbe stato già considerato uno dei grandi eventi culturali del 2013
sennonché la sua caratteristica peculiare – in linea con le policies
seguite dal Festival della Scienza in questi anni – era la sua
interdisciplinarità.
Una sezione dedicata all’apprezzamento delle sopracciglia nelle tribù
che un tempo si definivano ‘primitive’, prevedeva relazioni di studiosi
sia della scuola di Claude Levi Strauss che di quella del nostro
Ernesto De Martino, autori di monografie specifiche volte a denunciare
i pregiudizi etnocentrici iscritti nel ‘senso comune’ europeo e
occidentale – non a caso portato a sottovalutare (se non a ironizzare)
l’enorme rilievo che stregoni e sciamani danno alle nostre pelose
arcate sopraccigliari.
Naturalmente un’importanza molto grande veniva conferita alle
letterature. Si spaziava dalla classicità al Novecento, passando per il
Medio Evo e il Rinascimento. Due relazioni erano previste per i poemi
omerici – l’Iliade e l’Odissea – affidate a un antichista italiano e a
uno tedesco, a dimostrazione della centralità conferita dal «poeta
sovrano» a una parte del volto umano fin qui troppo trascurata (Si
rammenti il canto XVII dell’Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti:
«Allora coll'ampio scudo ricoprendo il figlio / di Menèzio, fermossi il
grande Aiace, / come lïon, cui, mentre al bosco mena / i leoncini,
sopravvien la turba / de' cacciatori: si raggira il fiero, / che sente
la sua forza, intorno ai figli, / e i truci occhi rivolve, e tutto
abbassa / il sopracciglio che gli copre il lampo / delle pupille: a
questo modo Aiace / circuisce e protegge il morto eroe. / Dall'altro
lato è Menelao cui l'alta / doglia del petto tuttavia
ricresce».[sottolineatura mia])
Nel (disprezzato) Medio Evo l’interesse per il sopracciglio non fu
minore che nelle repubbliche e nei regni antichi. Lo dimostrano, nel
Canto III del Purgatorio ,i versi che Dante dedica all’infelice
Manfredi: «Io mi volsi ver' lui e guardail fiso: / biondo era e bello e
di gentile aspetto, / ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. [c.s.].
Di qui il saggio consiglio degli organizzatori delle giornate di
affidare a tre illustri dantisti (inglese, francese e italiano) una
tavola rotonda sul tema «Il sopracciglio nella Divina Commedia».
Alle soglie dell’Umanesimo, addirittura, Francesco Petrarca, nel
Canzoniere (CCXCIX), inaugurava un’intera stagione letteraria tesa a
valorizzare l’estetica del sopracciglio: «Ov’è la fronte, che con
picciol cenno / volgea il mio core in questa parte e ’n quella? / Ov’è
’l bel ciglio, et l’una et l’altra stella / ch’al corso del mio viver
lume denno?». Ne avrebbero parlato, al Convegno di Genova, i più grandi
petrarchisti delle due rive dell’Atlantico ai quali si sarebbero
affiancati altrettanti esperti dell’opera letteraria di Maurice Scève
(1501-1564) – capofila della Scuola poetica di Lione – l’umanista,
platonico e petrarchista, che «ottenne rinomanza poetica nel concorso
dei Blasons, i ritratti letterari lanciati da Marot nel 1535, grazie al
suo «ritratto del sopracciglio».
E’ da lamentare, invece, che una sola relazione fosse stata prevista
per Guido Gozzano. Eppure come non ricordare le parole che
l’amabilissimo poeta crepuscolare aveva dedicato alla «…romantica Luna
fra un nimbo leggero, che baci le chiome dei pioppi, arcata siccome un
sopracciglio di bimbo…»? Il fatto è che ogni Convegno che si rispetti
ha le sue lacune e dimenticanze e sarebbe ingiusto farne colpa al
benemerito Festival della scienza.
Un settore, invece, per nulla trascurato, invece, era quello dell’arte,
soprattutto pittorica. Qui non soltanto gli storici dell’arte, ma
altresì i direttori dei maggiori musei d’Europa, d’Asia e d’America
erano stati mobilitati per spiegare come, nelle diverse stagioni
culturali, il sopracciglio ricevesse , da parte di pittori e scultori
un’attenzione talora quasi esclusiva.
Le relazioni avrebbero dovuto spaziare dall’iconografia bizantina al
post-impressionismo, dall’astrattismo al futurismo. Una, in
particolare, era stata prevista per la figura di Frida Khalo
(1907-1954), la grande pittrice messicana ricordata non solo per il suo
complesso rapporto col surrealismo ma, altresì, per la sua folta
peluria sopraccigliare. Quest’ultima, qualcuno lo rammenta ancora, fu
all’origine di una vera e propria insurrezione contro la blogger
americana Alison of a Gun che, sul suo Tumblr, aveva postato
un'immagine ritoccata del celebre autoritratto del 1940 di Frida Kahlo,
in cui la donna appariva senza le folte sopracciglia e la peluria,
oltre che con occhi truccati e pelle più chiara. "So che è una sorta di
tabù ma ci provo lo stesso",aveva detto, con aria di sfida, la blogger
meritandosi l’unanime condanna dei benpensanti di mezzo mondo.
A voler tirare le somme, comunque,il merito degli organizzatori del
Convegno, al di là dello stesso sperimentato approccio
interdisciplinare, poteva dirsi la capacità di immergerne i temi nella
più viva e palpitante attualità, mostrando i mutamenti sottili dei
nostri standard etici, estetici e culturali. Un tempo, infatti,
sopracciglia senza soluzione di continuità – la famosa ‘visiera’ –
facevano pensare subito a individui selvaggi e primitivi sicché mamme e
zie provvedevano a dividere, nella parte superiore del naso, la
prorompente peluria: oggi, finalmente, si è così guariti da quello
stupido pregiudizio etnocentrico che, per valorizzare le dotazioni
naturali pilifere, si provvede, sempre più spesso, al piercing
sopraccigliare, un segno inequivocabile di riconquistata liberazione da
tabù tradizionali. (Tra l’altro, ci sono parse non poco opportune le
due previste relazioni sul fascismo che aveva imposto un unico stile
sopraccigliare – nero e marcato, of course – e sulla disumanizzazione
in atto nel capitalismo avanzato che, eliminando il sopracciglio, in
qualche modo robotizza il volto umano, prefigurando un’antropologia da
‘Metropolis’). Non meraviglia, quindi, che molte relazioni venissero
affidate ad antropologi e a psicologi, al solito senza preclusioni di
sorta – razza, religione, ideologie etc.
Saggiamente dalle giornate di studio si era tenuta lontana la politica,
nonostante le proteste e le pressioni del Sel, dell’Arcigay, dei centri
sociali e dell’Italia dei Valori che avrebbero voluto parlare delle
potenzialità emancipatrici che la libera disposizione del sopracciglio
riveste per le giovani generazioni. Ma c’era proprio bisogno di
ricordarlo in un Convegno aperto da una prolusione di Marc Augé,
concluso da una superba relazione di Zygmunt Bauman sul «sopracciglio
nella ‘società liquida’» e caratterizzato dalla partecipazione dei più
noti sociologi e filosofi del diritto antioccidentalisti del vecchio e
del nuovo continente nonché da ben tre relazioni dedicate ai pregiudizi
oscurantistici delle Chiesa cattolica contro le sopracciglia e da altre
quattro sui pregiudizi borghesi e vittoriani contro le medesime? Senza
contare, poi, le relazioni dedicate al millenarismo e all’escatologia
sopraccigliare, con evidente, innegabile, valenza politico-ideologica.
Qualcuno forse ricorderà che quando Leonid Breznev salì al potere nel
1964, ponendo fine all’era kruscioviana, sui muri di Napoli si poteva
leggere l’entusiasmo dei compagni di base del PCI, disgustati dal
tradimento di Nikita e dalle sue bugie sui pretesi crimini di Stalin:
«adda venì Sopracciglion’!» fu il nuovo grido di battaglia di quanti
erano stati umiliati e offesi dal Rapporto al XX Congresso, in
sostituzione – è ovvio – del più popolare e battagliero «adda venì
Baffon’». Ebbene sarebbero state ben quattro le relazioni – tenute dai
più noti sovietologi e cremlinologi del nostro tempo – dedicate a
Breznev e alla sostituzione del ‘baffone’ col ‘sopracciglione’ e,
inoltre, una dottissima disquisizione era stata promessa da un
prestigioso cineasta ligure, Tatti Sanguineti, sulla valenza simbolica
sottesa alla convivenza di baffo folto e di non men folto sopracciglio
nel volto di Peppone, il sindaco comunista di Brescello, eterno rivale
di don Camillo nella saga strapaesana nata dalla fertile mente di
Giovannino Guareschi.
A questo punto, con buona pace di Niki Vendola e C., non può certo
dirsi, a meno di non essere in malafede, che gli organizzatori avessero
rinunciato all’impegno civile. Proprio loro che, d’accordo col nuovo
sindaco Marco Doria, per la conclusione dei lavori della prima giornata
avevano previsto tutto, persino una tavola rotonda con Oliviero
Diliberto, Stefano Rodotà e Giuliano Amato sul diritto al sopracciglio
come ‘diritto sociale’ indisponibile da introdurre nella Costituzione.
E avevano pensato pure alla partecipazione di comici come Maurizio
Crozza e Luciana Littizzetto, maestri di satira politica super partes,
e fatto approntare un esilarante copione che avrebbero dovuto mostrare
come determinate acconciature delle sopracciglia fossero funzionali al
bunga bunga berlusconiano e che poi si sono tirati indietro per ragioni
‘tecniche’ (legate, corre voce, ai vincoli contrattuali imposti dalla
RAI e, all’ultimo momento, non era stato più possibile sostituirli con
Roberto Benigni e Neri Martorè).)
Si diceva “una grande occasione perduta” e, senza dubbio, a ragion
veduta come può vedersi da questi rapidi cenni. Resta la profonda
amarezza suscitata da uno Stato che, ancora una volta, sembra non
rendersi conto che un convegno culturale può essere altrettanto
importante che l’abbassamento della percentuale dei disoccupati o dei
sottoccupati.
Soprattutto quando il tema è uno di quelli decisivi per la costituzione
della nostra complessa identità collettiva.
All’indignazione morale, però, va, sia pure sommessamente, affiancata
una considerazione utilitaristica e di basso profilo. I ‘clercs’
italiani, quanto a ‘trahison’, non sono inferiori a nessuno: se,
annullando i convegni, si tolgono loro le gratificanti performance
televisive e teatrali, gli alberghi di lusso, i voli aerei business
class, i gettoni di presenza etc. si corre il rischio di farseli
nemici, di ritrovarseli populisti (se non sanfedisti) sotto le bandiere
dell’antipolitica. Mai come in questo caso i tagli non sono indolori.
legnostorto.com
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