Lezione con i vigilantes
Data: Martedì, 29 gennaio 2013 ore 03:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Giugliano.
Cancellate alte e robuste lungo tutto il perimetro, massicci bodyguard
in perfetta divisa all’ingresso e all’interno, al posto dei bidelli che
il ministero ha tagliato, uomini della security ad ogni piano. Badge di
riconoscimento per tutti, professori e alunni. L’Istituto statale Luigi
Galvani, alle porte di Giugliano, è poco meno di un bunker. Sei gradi
di separazione da un territorio a rischio, violento e ad alto tasso
camorristico, quello in cui i 1200 ragazzi vivono e a cui tornano alla
fine delle lezioni. Nel bunker Galvani, dove si studia per diventare
periti tecnici industriali, la sicurezza viene prima dell’istruzione,
diventa esigenza primaria. «Vigilanza ferrea», spiega la vice preside
C. M. Sta preparando la carta della legalità da presentare in una
prossima assemblea compresi i genitori. «Vigilanza interna ed esterna,
non armata», precisa, «è un istituto ubicato in un’area a rischio per
cui noi facciamo azioni preventive. Anche i nostri studenti devono
essere tutelati, la sicurezza è uno dei cardini fondamentali. Questo
territorio non offre niente ai nostri ragazzi, Giugliano è solo piena
di sale giochi». Nell’intervallo si esce a fumare nel cortile, ragazzi
con il gel tra i capelli, t-shirt aderenti al torace, braccia coperte
di tatuaggi. «Facciamo attività pomeridiane per sottrarre i ragazzi
alla strada — racconta Maisto — c’è un 20-30 per cento che viene da
famiglie disagiate e lavora anche per aiutare la famiglia. Ora
l’istituto si è rivalutato, una cosa positiva è che ha contatti con il
territorio. È una miniera di materiale umano. Perciò abbiamo sfruttato
tutti i fondi Pon per mandare i ragazzi all’estero d’estate, abbiamo
laboratori, robot che riproducono la catena di montaggio». Per il
preside G. P., questa scuola è un punto di riferimento. Ha 117 docenti
a tempo indeterminato più altri 130 per 1129 studenti. «L’agenzia di
security, G&P Global service non l’ho portata io, ma l’ho
confermata: una scelta giusta. A parità di classi e alunni abbiamo
avuto un taglio secco di bidelli. Tre di loro sono stati sostituiti dai
vigilantes in divisa, più uno al cancello. Credo che questa presenza da
sola possa essere un deterrente per goliardate eccessive. Io sto qui
dalle 7,30 alle 19, così pure il mio staff di dirigenza. Devono
vigilare che non accada niente di anomalo. Ci sono lunghi corridoi,
entrate e uscite, uno sterminato spazio esterno, luogo incontrollato e
incontrollabile dall’interno e per l’esterno». Pezza difende i suoi
alunni: «Nessuno dei miei studenti è potenzialmente o in pectore un
delinquente. Ma il contesto sociale è questo: un territorio dove
l’urbanizzazione è triplicata, discarica a cielo aperto di rifiuti. I
docenti devono fare i conti con ragazzi maleducati, ma forse ce ne sono
più al Parini di Milano che al Galvani di Giugliano. Le famiglie
chiedono aiuto alla scuola. E c’è una minoranza insofferente alle
regole». Una minoranza che usa la violenza. L’anno scorso ci sono state
15 denunce per aggressioni. Un esempio? Scuola elementare Catello
Salvati, a Scanzano, periferia di Castellammare di Stabia. T. E., una
docente di 47 anni, 20 già impiegati qui, quel giorno ha i tacchi alti,
si è vestita elegante. È in presidenza quando vede arrivare un uomo che
schiaffeggia una maestra e grida: «Mio figlio non lo metti più fuori».
T. interviene a difenderla. Ed è attaccata a sua volta: «Mi mette due
mani alla gola e mi sbatte con la testa al muro, cado e batto il capo
sul termosifone, mi strappa una ciocca di capelli». Quando lo racconta
è ancora piena di rabbia. «Finora mai un caso del genere, l’istituto
funziona benissimo, i genitori sono tutti dalla nostra parte. La mia
collega è all’antica. Ha una classe difficile, con figli di famiglie
disagiate, che mancano spesso da scuola». Poi si sfoga: «Lo Stato cosa
fa per questi bambini? Riduce il personale scolastico, aumenta il
numero degli alunni in classe, vuole la docente unica che è sempre più
da sola ad affrontare la realtà». Scanzano, un contesto sociale
dominato dallo strapotere camorristico. «Sento spesso parlare di
D’Alessandro, ma quelle famiglie a volte hanno dato un aiuto economico
alla scuola, ci tengono. Invece i casi più problematici sono i
“Ciruzzo”, figli di chi ha perso il lavoro nei cantieri e nelle
fabbriche, e non riesce più a mettere il piatto a tavola, con mamme che
devono lavorare tutto il giorno e papà disoccupati, o morti, o in
carcere. Quei bambini si sentono già inferiori, additati, l’unico modo
di esprimersi è l’aggressione, un modo per dire: io ci sono. La nostra
scuola è bellissima, ha il teatro, la palestra. Con 25 mila euro di
fondi regionali l’anno scorso abbiamo fatto otto laboratori contro la
dispersione». Un progetto della prefettura di Napoli l’anno scorso ha
coinvolto 1064 alunni e 25 scuole. «La scuola era bella di pomeriggio -
continua T. E. - tutta illuminata, con mensa, sport, laboratori,
progettualità. Avevamo trovato un sistema per non farli andare a casa.
I bambini pensavano: anch’io posso, anch’io riesco, e finivano per
rendere di più anche nello studio». Torna, come al Parco Verde di
Caivano, il richiamo al docente chiamato a fronteggiare il disagio.
«Dobbiamo essere diversi, saper rendere più sicuri i bambini». Le
insegnanti si alleano tra loro. «Lavoriamo in team, ci confrontiamo per
trovare le strategie, cerchiamo insieme una via d’uscita.
Patrizia
Capua http://scuolaviolenta.blogspot.com
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