Io parlo, loro navigano. Le difficoltà di insegnare ai fondamentalisti digitali
Data: Martedì, 22 gennaio 2013 ore 06:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


È necessario la concentrazione, ed è necessaria la distrazione. Ci sono momenti per esercitare la prima e momenti per esercitare la seconda. Dosare e bilanciare le due cose è indispensabile. La scuola è un luogo di attenzione e concentrazione, perché punta a sviluppare la memoria, la coerenza e la sequenzialità, un pensiero complesso e critico che si esprime attraverso il discorso argomentativo. I media digitali, viceversa, promuovono per lo più la simultaneità orizzontale, ammettono la possibilità di fare e incamerare più cose nello stesso momento, favorendo la superficialità e la svagatezza. Ciò non significa che internet sia inutile all’apprendimento di conoscenze complesse, ma un uso improprio può essere controproducente.
L’altro giorno mi sono trovato in un’aula universitaria a parlare ad alcuni ragazzi del destino della carta stampata: molti di loro, mentre parlavo, trafficavano con iPad, con smartphone e telefonini. Può anche darsi che il mio discorso fosse noioso e che quindi invitasse alla distrazione. Ma dopo tante lezioni fatte, era la prima volta che mi capitava e la cosa mi ha molto infastidito, perdendo concentrazione io stesso. Perché la mediasfera è contagiosa e invasiva: provate a leggere un libro viaggiando in treno. Credo che sia una pessima idea, a cui fare resistenza finché sarà possibile, quella di permettere il multitasking nella scuola, pur non ritenendo affatto che la scuola debba essere un antro impermeabile ai mutamenti della società. Ma se questi mutamenti annientano il senso, il valore e gli obiettivi dell’insegnamento, oltre alla buona educazione, è bene tenerli fuori. C’è un fondamentalismo digitale euforico e isterico. In fondo, quando è stata inventata l’automobile nessuno si è sognato di far lezione sulle quattro ruote guardando fuori dal finestrino.

Paolo Di Stefano - Il Corriere della Sera





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