
Negli ultimi
vent’anni la scuola non è più stata al centro dell’agenda politica di
questo Paese, messa ai margini dell’iniziativa parlamentare, tutt’al
più è rimasta intrappolata nella morsa di un riformismo frenetico,
confuso e inconcludente, che anziché porla a sistema d’istruzione
all’avanguardia, diffuso ed organizzato sul territorio, volano di
sviluppo per le giovani generazioni, non ha fatto altro che deprimere
ancor di più le potenzialità che covano sotto le ceneri di
un’istituzione andata inesorabilmente in fumo, destrutturando
progressivamente un modello educativo che ad oggi, pur a fatica e
stenti, complice la passione ed il senso di missione degli operatori
scolastici, aveva garantito una parvenza di qualità nel nostro sistema
di istruzione.
La scuola come luogo di integrazione e scambio, ove la conoscenza e
l’elaborazione del pensiero contribuiscono a far superare le differenze
sociali e culturali tra i ragazzi, sopravvive nell’idea romantica,
deamicisiana o gentiliana di tanti, forse troppi, che vedono i temi
legati alla formazione dei cittadini di domani come mero spunto
retorico per strappare facili applausi di circostanza.
Le troppe chiacchiere lasciano spazio ai normali problemi quotidiani:
cronica mancanza di fondi, edilizia scolastica fatiscente, classi
sovraffollate, bullismo, scarsità di tecnologie e laboratori, studenti
disinteressati in balia dei mezzi di distrazione di massa, deficit
d’apprendimento nel confronto con le altre scuole europee, un diffuso e
pervicace precariato falcidiato dagli stringenti tagli lineari al
personale, mancanza di motivazioni e scarsa considerazione sociale,
metodi didattici ed educativi desueti e non al passo con i tempi per un
corpo docente tra i più vecchi d’Europa, assenza di concorsi “veri” e
di un sistema di reclutamento efficace da oltre un decennio,
razionalizzazione del personale ausiliario, tecnico ed amministrativo,
dirigenti scolastici ridotti a burocrati e costretti ad operare in un
ambiente quanto mai problematico. Questi ed altri sono soltanto alcuni
segni di questo tangibile degrado.
Nelle disattese intenzioni dei nostri lungimiranti e saggi padri
costituenti la scuola avrebbe dovuto rappresentare un ascensore
sociale, principale strumento di attuazione dei principi di libertà ed
uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione. Ciò che rimane è una
scuola ridotta ad ammortizzatore sociale, ridicolizzata dalle altre e
più blasonate professioni, considerata alla stregua di categoria
improduttiva.
La scuola, del resto, è specchio fedele della società. Le due maggiori
istituzioni centrate sul cittadino, la scuola e la politica sono oggi
accomunate da un triste destino, in piena decadenza, in totale balia
del mercato e della tecnologia: «Chi sa fare fa, chi non sa fare
insegna, chi non sa insegnare insegna agli insegnanti, e chi non sa
insegnare agli insegnanti, fa politica», è l’inconfessabile sentire
comune di tanti professionisti.
I dati in fatto di mobilità sociale dei giovani non sono per niente
confortanti, dando un’immagine negativa della nostra realtà nazionale.
Da tempo ci si chiede: quante possibilità ha una persona nata in una
determinata classe sociale di accedere a certe professioni e di
realizzare le proprie aspettative? Dopo i timidi passi in avanti
verificatisi sotto la spinta del ’68 in Italia i processi di mobilità
sociale sono bloccati da diverso tempo. La scuola è poco selettiva e
finisce per riprodurre le disuguaglianze di partenza. Il mercato del
lavoro è bloccato, rigido e corporativista da una parte o estremamente
fluido, flessibile e precario dall’altra, e così la strada maestra
diventa, quando va bene, fare il lavoro di mamma e papà, rimanere
inoccupati o parcheggiarsi all’Università.
Non si fanno più investimenti in capitale umano, si taglia in enti
locali e in istruzione, cultura e formazione ed all’Università non c’è
più ricambio. Bisognerebbe proteggere, favorire e promuovere gli
interessi strategici delle nuove generazioni, fissarla come la priorità
delle priorità e destinare buona parte delle risorse disponibili. Ed
invece nessuno ci mette mano. Una realtà totalmente cieca nei confronti
del futuro ed una generazione piena di energie, competenze e
creatività, abbandonata a se stessa.
Urge cambiar rotta. C’è bisogno di una scuola più autonoma e radicata
sul territorio che investa sull’educazione, realizzabile unicamente
tramite gli alti ideali del bene comune e del buon governo della
comunità, puntando all’innovazione con adeguate risorse finanziarie e
di personale, rivendicando i poteri dello Statuto in materia
scolastica. La nostra idea di scuola è una scuola pubblica di qualità,
che valorizzi il merito, che garantisca a tutti pari opportunità di
apprendimento e di educazione, che si prenda cura del successo
scolastico anche dei diversamente abili e svantaggiati e della piena
integrazione degli immigrati.
Nel passato prossimo si è fatto un gran parlare delle famose “Tre I”,
Inglese-Internet-Impresa, così come delle “Tre T”,
Tecnologia-Talento-Tolleranza, care rispettivamente al centrodestra e
al centrosinistra, che a parere degli addetti ai lavori sarebbero
dovute essere tappe obbligate nel processo di innovazione del nostro
Paese. Noi riteniamo si debba ripartire dalle fondamenta, le “Tre D”,
Docenti-Discenti-Dirigenti, tanto vituperate, rilanciando un processo
di rinnovamento organico che parta dalla base, attraverso una Vera
Riforma, condivisa da tutti, che guardi al di là dell’orizzonte e che
abbia il coraggio di scommettere sull’Istruzione mediante un piano
d’investimenti di lungo termine che possa fattivamente far ripartire il
Sistema-Italia: per le aule scolastiche passa il futuro del Paese e al
futuro non possiamo e dobbiamo rinunciare. La necessità di investire
sulla scuola è, allo stato attuale, oltre che dettata dal contesto di
crisi internazionale, una vera e propria emergenza nazionale.
L’evoluzione che il nostro sistema scolastico ha intrapreso negli
ultimi decenni, nella direzione dell’elevamento della formazione
culturale per tutti e dell’integrazione dei sistemi, deve rappresentare
la base su cui costruire il necessario processo d’innovazione. Per
troppo tempo Licei e Istituti Tecnici sono stati pensati come due
sistemi inevitabilmente rigidi e gerarchizzati: il primo astratto e
teorico nella logica del vecchio liceo e il secondo sostanzialmente
rivolto all’avviamento al lavoro. Tra i possibili interventi
finalizzati ad offrire innovazioni organizzative vi è l’opportunità di
favorire la formazione, sempre più strategica per il mondo produttivo,
attraverso la valorizzazione degli Istituti Tecnici e Professionali,
venendo incontro ai fabbisogni formativi espressi dalle aziende, alle
esigenze dei giovani di acquisire competenze e dei lavoratori di
mantenersi aggiornati ai continui cambiamenti del mercato.
Progettare ed intervenire nel territorio attraverso una strategia di
rete fra le diverse realtà, creando sinergie che non disperdano le
risorse economiche e quelle umane, ma le mettano in relazione per
garantire un’effettiva integrazione di servizi che promuovano il
benessere nella scuola.
Incentivare le pratiche volte all’orientamento scolastico, per
prevenire gli abbandoni ed il prolungamento eccessivo degli studi,
rafforzando il legame con il mondo universitario e favorendo la
continuità scuola-università, al fine di intrecciare relazioni che
possano offrire un valido contributo all’elaborazione del percorso
formativo degli studenti, alla creazione di servizi di accompagnamento
per le scelte dei giovani, alla costruzione di social-network per
valutare le trasformazioni e le richieste del mondo del lavoro, e, al
tempo stesso, alla definizione di strumenti atti a diminuire la
dispersione scolastica, mirando a realizzare progetti e convenzioni tra
scuole, università, enti, imprese e mondo del no-profit, per scoprire
le potenzialità insite in ciascuno.
Superare la logica dell’Università quale luogo della semplice
trasmissione dei contenuti disciplinari, verso un’attivazione dei
processi cognitivi, non del mero apprendere, attraverso la
comunicazione come modalità del rapporto educativo, al fine di creare
una “comunità di docenti e discenti”, operando una netta distinzione
tra sapere e saper fare, tra teoria e pratica, tra ricerca teorica e
ricerca sperimentale, evitando il pericolo, più volte denunciato, di
una licealizzazione dell’Università, alla perdita della sua specificità
quale luogo in cui acculturamento e competenza da acquisire vadano di
pari passo con la riflessione critica e l’elaborazione originale della
cultura medesima, sia scientifica che umanistica, per guadagnare un
rapporto educativo che non si esaurisca esclusivamente nella lezione
cattedratica.
Per far ciò bisogna sforzarsi di vedere le nuove generazioni come una
risorsa, non come oggetti misteriosi o ingombri. Parecchi giovani sono
oggi portatori di idee e di innovazione, che troppo spesso si scontrano
con il vecchio sistema dell’anzianità e delle strutture verticali e
verticistiche del potere. Bisogna sdoganarsi da questa logica
dell’omologazione che investe il talento individuale, costretto a
rimanere incatenato entro gli spazi definiti dall’inoccupazione, dal
posto di lavoro, dal nepotismo o, peggio ancora, dal clientelismo
becero.
Christian Citraro
christian.citraro@istruzione.it