Manifesto dei docenti della provincia di Caltanissetta per la scuola pubblica come bene comune
Data: Mercoledì, 16 gennaio 2013 ore 07:00:00 CET Argomento: Redazione
Siamo insegnanti
della Scuola Pubblica Italiana. Da anni assistiamo al
progressivo impoverimento e smantellamento dell'istituzione scolastica
del nostro paese. Ciò avviene in aperto contrasto con quanto sancito
dalla Costituzione Repubblicana.
Nelle intenzioni dei Costituenti, infatti, la scuola doveva essere
aperta a tutti, anche nei gradi più elevati di studio, e la Repubblica
avrebbe dovuto rendere effettivo questo diritto per «i capaci e
meritevoli anche se privi di mezzi» (Costituzione, art. 34): dunque una
scuola aperta e inclusiva. Ciò perché compito della
Repubblica è
«rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che [...]
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica,
economica e sociale del paese» (Costituzione, art. 3).
Invece governo e
parlamento sembrano essersi trasformati in istituzioni
al servizio di soggetti economici, nazionali e internazionali (imprese,
banche, Fondo Monetario Internazionale, BCE), che agiscono al di fuori
di ogni obbligo e responsabilità sociale e morale. In questo modo, le
istituzioni che dovrebbero operare per il bene dei cittadini li stanno
invece espropriando di diritti basilari, in particolare quelli alla
salute, al lavoro e all’istruzione, in nome di una logica di puro
profitto.
Tale logica, mentre da un lato impone tagli al welfare che colpiscono
le fasce più deboli della popolazione, dall'altro attribuisce alla
scuola un ruolo puramente strumentale e addestrativo, costringendola a
rinunciare al proprio compito, che è quello di formare donne e
uomini
dotati di pensiero critico e autonomia di azione. In questo modo il
sapere non è più concepito come patrimonio umanizzante, ma come
consumistica "merce di scambio", spendibile solo su un piano economico
e non su quello ben più importante della partecipazione di tutti alla
vita associata delle donne e degli uomini.
Noi vogliamo invece
una scuola pubblica che abbia come obiettivo
l'emancipazione umana e che favorisca la mobilità sociale; che
sappia
essere autenticamente democratica, perché
laica, libera e inclusiva,
una scuola formatrice di cittadine e cittadini colti, critici e attivi.
Questa è la scuola che la Costituzione auspica. Questa è la scuola per
la quale noi insegnanti della scuola pubblica italiana vogliamo
lavorare.
Esigiamo che il ceto dirigente di questo paese smetta di considerare la
scuola pubblica come un semplice strumento del mercato o, peggio
ancora, come una spesa o un costo dello Stato, su cui praticare tagli
selvaggi e indiscriminati. La scuola pubblica
deve invece essere
pensata come una dimensione educativa fondamentale su cui investire,
perché è in essa che gli individui possono crescere e farsi portatori
di un pensiero libero e creativo: l'unico capace di trovare vie nuove e
alternative proprio nei momenti di crisi, quando cioè le soluzioni
scontate o tradizionali non sono più efficaci.
Noi riteniamo che la scuola pubblica sia un BENE COMUNE, un bene
inalienabile e irrinunciabile, come l'acqua, l'ambiente, la salute e il
diritto al lavoro (Costituzione, art.1).
PERTANTO CHIEDIAMO
AI FUTURI GOVERNANTI DEL NOSTRO PAESE DI
SOTTOSCRIVERE UN
PATTO PER LA SCUOLA
Noi riteniamo che la nostra idea di
scuola non rispecchi esclusivamente
interessi di parte o di categoria, ma risponda alle esigenze di ogni
cittadina e cittadino che spera in un futuro di rilancio, riscatto e
rinnovamento civile e politico, economico e culturale per l'Italia.
Questi sono per noi i criteri irrinunciabili per garantire l’esistenza
in Italia di una Scuola Pubblica in grado di stare al passo con i
tempi e di collocarsi dignitosamente in Europa.
Quello che chiediamo al futuro Governo e Parlamento è di investire un
punto e mezzo in più del PIL nella scuola pubblica – adeguando così
l'Italia alla media dei Paesi OCSE – al fine di:
1. Migliorare e mettere a norma
l'edilizia scolastica: per una scuola
più sicura; è di tutta evidenza che delle scuole insicure rappresentino
un ossimoro intollerabile. Il problema dell’edilizia scolastica è
sempre stato un punto fermo delle promesse elettorali di tutti i tempi
e di tutti i partiti. Fatto sta che, anno dopo anno, registriamo sempre
più spesso episodi che mettono a rischio l’incolumità di studenti e
lavoratori. Le scuole oltre ad essere sicure devono essere pure
accoglienti e funzionali. Frequentare una bella scuola porta gli alunni
ad essere più propensi e ben disposti a vivere meglio l’attività
scolastica. Un piano speciale per l’edilizia scolastica, incentivando
la costruzione di scuole con ambienti d’apprendimento innovativi ed
eco-sostenibili, potrebbe rappresentare anche un modo per incentivare
il rilancio dell’economia.
2. Ritirare ogni progetto o
provvedimento che comporti il frazionamento
su base regionale del sistema scolastico nazionale o la privatizzazione
della scuola (come previsto, per esempio dal DDL 953
Aprea-Ghizzoni).
Il tutto al fine di:
scongiurare la gerarchizzazione tra scuole di serie A e scuole di serie
B, a seconda del territorio di appartenenza, con la conseguente
perpetuazione di quelle disparità sociali che la Repubblica italiana si
propone di ridurre (Costituzione, art. 3);
mantenere l’autonomia e l’indipendenza dei Consigli di Istituto, liberi
dalle ingerenze di soggetti privati; tutelare la libertà di
insegnamento (sancita anch'essa dalla Costituzione, art. 33) e la
pluralità degli apprendimenti;
3. Ridurre il numero massimo di alunni
per classe: per garantire una
didattica più efficace e pratiche educative attente alle persone –con
particolare riguardo per quelle disabili- e per migliorare le
condizioni di sicurezza di alunne e alunni;
4. Ripristinare i laboratori
prevedendo le figure professionali
necessarie per un loro corretto funzionamento e dotarli di attrezzature
e materiali idonei;
5. Evitare qualsiasi aumento del monte
ore settimanale di insegnamento
e rivedere il monte ore settimanale previsto dalla riforma Gelmini;
6. Ripristinare nella scuola primaria
il progetto didattico del tempo
pieno con le
relative compresenze. Ripristinare il team docente annullando il
maestro unico o
prevalente che è, a nostro avviso, “anacronistico” e ripristinare la
figura del docente specialista di Lingua Inglese per riqualificare
l’insegnamento della lingua straniera, prevedendo che tale insegnamento
sia obbligatorio sin dalla scuola dell’infanzia.
7. Lotta senza quartiere alla
dispersione scolastica. Una piaga dalle
conseguenze catastrofiche per il nostro futuro, non solo a livello di
vicende individuali, ma anche per l’intera società. La strategia di
Lisbona prima, di seguito UE 2020, hanno invitato il nostro Paese ad
individuare anticorpi rispetto alla dispersione; ma i progressi fatti
dal 2000 ad oggi sono piuttosto irrilevanti e rimane una percentuale di
dispersione pari al 18%, che ci colloca tra i paesi più in difficoltà
da questo punto di vista.
8. Innalzare l’obbligo scolastico.
Dimentichiamo troppo spesso che
siamo l’unico Paese europeo che prevede un obbligo di istruzione a 16
anni ed un obbligo formativo di 18 anni.
9. Generalizzare la scuola
dell’infanzia. Sono due elementi che
camminano di pari passo. La frequenza della scuola dell’infanzia
rappresenta un elemento qualificante del percorso scolastico di un
individuo. Diversi studi affermano la sua incidenza sulla maggiore o
minore propensione alla dispersione o al ritardo scolastico, con tutte
le conseguenze –anche a livello sociale– che ciò comporta. Le scuole
dell’infanzia sono oggi per il 16% paritarie. E questo da una parte
contraddice quanto la Costituzione afferma al comma 2 dell’art. 33 “La
Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole
statali per tutti gli ordini e gradi”; dall’altra dà buon gioco ai
sostenitori della parità scolastica (che a sua volta contravviene al
“senza oneri per lo Stato” previsto dallo stesso articolo della
Costituzione) di ribadire la necessità di quella norma. Sta di fatto
che l’81% delle scuole paritarie sono confessionali. Il che crea un
corto circuito pericolosissimo, che viola una serie di principi, quali
quelli richiamati, nonché la libertà di insegnamento.
10. Mantenere l'attuale scansione
quinquennale del percorso di
istruzione della scuola secondaria di secondo grado, contro ogni
ipotesi di sua riduzione a quattro anni. Riteniamo infatti essenziale
evitare la drastica riduzione dei programmi in termini di qualità e
quantità poiché ciò porterebbe ad una inadeguata preparazione dei
giovani ai futuri percorsi universitari da intraprendere.
11. Garantire risorse per seri e
gratuiti percorsi permanenti di
formazione in servizio e di aggiornamento del personale della
scuola, in una prospettiva di “lifelong learning”, favorendo
oltre a
quelli “disciplinari” quelli sulla legislazione scolastica e quelli
sulla prevenzione della sindrome del “BURNOUT” con la presenza e il
supporto di esperti e psicologi all’interno delle scuole, per
assicurare una didattica di qualità, attenta alle esigenze del mondo
attuale e al benessere di chi vive e opera nella scuola.
12. Adeguare i salari degli insegnanti
e dei lavoratori della scuola ai
livelli europei per restituire dignità e motivazione ad una categoria
di lavoratrici e lavoratori che, nonostante assolva un compito
di
rilevante responsabilità e valore sociale, negli ultimi anni è stata
oggetto di continui attacchi denigratori, proprio da parte di
rappresentanti delle istituzioni;
13. Dare quanto ingiustamente e
illegittimamente tolto, ripristinando
per esempio gli scatti di anzianità, le detrazioni per il TFR (evitare
la detrazione del 2.5%), il rinnovo contrattuale etc. senza
alcun
ricatto e senza ulteriori decurtazioni dal bilancio della scuola
pubblica, evitando soprattutto di costringere i lavoratori a dover
utilizzare i ricorsi o procedere legalmente per difendere i propri
diritti;
14. Promuovere una seria politica di
assunzione del personale evitando
o riducendo al minimo la precarietà. Assumere i lavoratori precari
della scuola, ottemperando così alla norma europea (97/70 c.e.) che
prevede la stabilizzazione del personale che ha prestato servizio per
almeno tre anni presso la stessa istituzione e il conseguente
riconoscimento dell'esperienza maturata con finalità abilitante
[36/2005].
15. Ripensare a un’adeguata legge per
il pensionamento degli
insegnanti; è impensabile, infatti pensare di andare in pensione
a 70
anni o oltre, tranne che non si voglia il definitivo allontanamento
degli alunni dalle scuole con personale ai loro occhi “poco stimolante”
perché ritenuto “vecchio” e ormai incapace di mantenere la
disciplina;
16. Prevedere la possibilità di
utilizzare i docenti non idonei in
attività funzionali all’insegnamento;
17. Promuovere la democrazia
scolastica. Abolire il DL 150/2009
(Decreto Brunetta) o non adottarlo per la scuola significa,
soprattutto, evitare accostamenti impropri ammantati di ideologia
neoliberista quali il termine “produttività” alla professione docente.
Rifiutare qualsiasi forma di ridimensionamento del ruolo degli RSU;
arrestare senza tentennamenti la deriva mercantilistica che ha
caratterizzato non solo l’approccio alle politiche scolastiche, ma
persino alcune proposte (a partire dalla legge sull’autonomia del ’97,
fino al ddl Aprea e successive modificazioni). La scuola deve essere
restituita alla sua funzione di istituzione dello Stato (come la
magistratura), che persegue fini di interesse generale e sottratta alla
funzione di servizio che le scelte politiche ed amministrative le hanno
attribuito dal ’93 ad oggi. Non occorre inventare strategie
particolari: è scritto tutto nella Costituzione, a partire dal concetto
di autonomia, che malauguratamente è stato usato nel ’97, configurando
un percorso estremamente differente da quello prefigurato dalla Carta.
Un’autonomia nello Stato e non dallo Stato, che si articoli in
particolare attraverso un’autonomia dagli esecutivi di turno, con i
quali si dovrà interagire, ma in un autogoverno autonomo, a cominciare
da un ripristinato ruolo del Cnpi, non più presieduto dal ministro.
18. L’abrogazione dell’articolo 1,
comma 149 della legge di stabilità
che vorrebbe differenziare in base al “merito” i finanziamenti alle
scuole, lasciando ancora più indietro le situazioni di disagio
sociale, ed imponendo sistemi di valutazione che nulla hanno a che
vedere con il ruolo istituzionale della scuola pubblica.
19. Dire basta ai finanziamenti delle
scuole private a discapito della
scuola pubblica e modificare la legge 62/2000 per chiarire il
significato di scuola pubblica;
Noi Docenti Nisseni,
riteniamo che una
vera riforma della scuola sia
necessaria, ma che tale riforma o controriforma sia dettata non da
motivi economici ma soprattutto da criteri atti a migliorare seriamente
la scuola. Pertanto è necessario che una tale controriforma
nasca da
chi la scuola la vive tutti i giorni ossia dai docenti, dal personale
ATA, dagli alunni, dai genitori e dai dirigenti. Pertanto
CHIEDIAMO
ai futuri governanti, candidati alle prossime elezioni politiche, di
sottoscrivere
il nostro Patto
o di dichiarare quali siano i loro
programmi e impegni per la scuola da realizzare nell’immediato, al fine
di orientarci nella scelta dei più idonei alla realizzazione del nostro
Progetto di
Rinnovamento e Miglioramento della Scuola Laica, Libera e
Inclusiva.
f.to Comitato
Docenti NISSENI
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