Pirandello poeta della disarmonia
Data: Domenica, 13 gennaio 2013 ore 07:30:00 CET Argomento: Redazione
"Io
penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi,
senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di
ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una
realtà ( una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di
tratto in tratto si scopre vana e illusoria.
Chi ha capito il giuoco, non riesce
più a ingannarsi; ma chi non riesce più ad ingannarsi non può più
prendere né gusto né piacere alla vita. Così è. La mia arte è piena di
compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa
compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del
destino, che condanna l’uomo all’inganno.
Questa, in succinto, la ragione
dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita".
(Lettera autobiografica, stesa da P. nel 1912 per fornire alcune
notizie sulla propria vita).
Pirandello, poeta
della disarmonia
Questo è il tema che intendo affrontare e offrire alla riflessione dei
miei colleghi di Aetnanet.
Premetto che non potrò abbracciare tutta l’opera poetica di Pirandello
ma solo una parte, quella relativa alle raccolte di Mal giocondo, di
Zampogna, e Fuori di chiave, soprattutto. Nessuna pretesa, dunque, di
esaustività di discorso critico su Pirandello, e tanto meno su
Pirandello poeta, isola certo minore, anche se forse non meno ricca di
vegetazioni e di intricate selve, rispetto a quella ormai istituzionale
su cui regna sovrano - per consensi unanimi di critici e di lettori -
il Pirandello novelliere, romanziere e drammaturgo.
Su questo isolotto poetico, noi faremo approdo per breve sosta,
sicuri di una cosa , in ogni caso: di non arrecare un dispiacere alla
buonanima del Nostro, se, in primis, lo ricordiamo come poeta, lui che
alla poesia credette come alla sua vocazione più autentica e
naturale, e che ad essa volle affidare i suoi esordi
letterari, i suoi sogni e le illusioni giovanili, le sue ire, le
sue ansie, i suoi bizzarri umori, le sue malinconie e le sue battaglie
contro gli uomini e le “lor picciole cose” - come direbbe Carducci
-, la sua amara allegria, il suo umorismo acre e dissacratorio.
E se con la poesia l’amorosa corrispondenza non poté durare più a
lungo, la colpa non fu certo di Pirandello, ma del suo tempo
“scientifico” e “positivo”, così poco incline alla ideale armonia del
canto; la colpa fu delle dure necessità della vita che, ben presto,
spogliata di ogni illusorio velo, prosaica e nuda si mostrò a
Pirandello, e dissonante tanto, da non potere più essere assorbita
totalmente per sola magia di sillabe e di suoni.
Una cosa è accertata: che la poesia fu il primo amore di Pirandello, e
mai del tutto dimenticato, se è vero che, ancora negli ultimi anni di
vita, egli pensava ad una riedizione antologica delle proprie
liriche migliori; e se è vero quanto afferma il figlio Stefano: che il
padre avrebbe voluto “ ritornare là donde era partito giovinetto,
e concludere come aveva cominciato: da poeta”.
La produzione in versi dell’Agrigentino, in realtà, contiene in” nuce”
tutti i germi che fruttificheranno nell’opera senza alcun dubbio più
matura, complessa e “labirintica “ del novelliere, del drammaturgo, del
romanziere.
L’universo poetico di Pirandello si offre come un vasto
semenzaio, un serbatoio di temi e di spunti formali, da cui sempre ,
poi, lo scrittore attingerà per fare un’operazione cosciente e
volontaria di riattivazione di complesse catene di segni, reinserendole
in testi di volta in volta diversi, ricontestualizzandole. E' questo -
come è stato giustamente sottolineato - il cosiddetto “fenomeno d’eco”
della autocitazione che attraversa tutta l’opera pirandelliana,
stringendo relazioni intertestuali non solo fra scritti d’epoca
notevolmente diversa , ma anche fra testi appartenenti a generi
assolutamente distinti e fortemente divaricati.
Nelle poesie che avremo modo di indicare, la poetica
dell’umorismo“, la cui particolarità è veramente tutta nel tono, nelle
variazioni capricciose del motivo sentimentale, nella riflessione che
contrasta al sentimento, o meglio, in cui il sentimento si smorza”, è
già presente prima ancora che Pirandello la teorizzi.
Mal giocondo, è il titolo della
prima raccolta di versi di P., pubblicata nel 1889. Essa appare ben
incardinata nella storia della società italiana degli anni ‘80, che
sono anni di profonda crisi, caratterizzata dal tramonto delle certezze
positivistiche e dalla inquieta ricerca di nuovi orientamenti. Vecchi
miti crollano, altri se ne profilano all’orizzonte, ambigui e
minacciosi; la società è scossa dalle rivolte operaie; s’incrina il
mito del progresso indefinito; le nazioni cercano nuovi equilibri
economico - politici, nuove aree di scambio, mentre all’orizzonte
avanza lenta , ma inesorabile, la bufera e altro,
della prima guerra mondiale!
Pirandello in questo suo primo esordio poetico riflette già le
contraddizioni, la delusione storica ed esistenziale che fu
propria delle nuove generazioni dell’Italia post-unitaria.
Nel saggio Arte e coscienza d’oggi,
che è del 1893, scriveva , fra l’altro: “[… ] Nei cervelli e nelle
coscienze regna una straordinaria confusione. I giovani danno di sé uno
spettacolo ancora più triste. Nati in un momento febrile […];
cresciuti fra il trambusto dei dibattimenti per dare un possibile
assetto ad acquisti che non avevano soddisfatto gli ideali di
tutti […]; educati senza un criterio direttivo[…]; fisicamente son
tutti, o per la massima parte, affetti di neurastenia, moralmente inani
.[…] Crollate le vecchie norme, l’intelletto ha acquistato una
straordinaria mobilità… Non mai, credo, la vita nostra eticamente ed
esteticamente fu più disgregata…i nostri pensieri turbinano entro
i fati attuosi che stanno come nembi sopra una rovina. Da ciò
deriva per la massima parte il nostro malessere intellettuale”.
Ebbene, Mal giocondo, finanche
nel titolo, nella figura retorica dell’ossimoro, riflette questo
disagio e il disorientamento e la dissonanza del tempo che fu di
Pirandello.
Nella sezione Allegre di Mal giocondo, e precisamente nell’Allegra XI,
leggiamo questa perentoria dichiarazione di poetica:
Mi ronzano intorno
a le orecchie,
nel tedio, con suono confuso,
sì come uno sciame di pecchie
le vecchie
parole sconciate dall’uso.
C’è già in questi versi la disposizione “critica” di P. nei
confronti della tradizione aulica e formalistica della nostra
letteratura, il rifiuto della mitologia romantica, e il bisogno
di misurarsi con la realtà di ogni giorno.
Svendute “le sue nuvole”, il giovane poeta persegue” un
canto novo“, decidendo di porsi come un ragno al
centro dell’immensa ragnatela dei desideri e dei sentimenti umani:
Chi
mai vorrà comprare le mie nuvole?
….. a gran
derrata vendo e senza usura
l’aerea merce.
Ne consiglio ai filosofi l’acquisto,
al papa, ai re regnanti e decaduti,
agli amanti fedeli, ai sognatori,
ai mille illusi;
e agli uomini onesti ed ai poeti,
specialmente: potranno su le nuvole
vivere gli uni onestamente, e gli
altri
di poesia. (Allegra I )
Tu
m’hai tessuto, o Diva, come serico velo,
un nuovo canto. Egli ha li umani
desideri
le speranze, gli affetti, per fila…
Enorme ragno in grembo a
immenso ragnatelo
or vi porgo il cervello. E dove più
s’intrica
fitto l’ordito, ei vigile e tutto in
sé raccolto,
ne l’ansia che di smanie represse
l’affatica,
fa la posta, spiando; poi salta, e de
lo stolto
midollo dei terreni insetti si
notrica.( Allegra II)
A parte certo gusto macabro-scapigliato di esasperazione linguistica,
sono già , qui, le prime avvisaglie della crisi dell’io romantico e il
primo accenno di quel sorriso umoristico, di quella disarmonia che
nascono dal confronto fra la sua originaria cavalcata donchisciottesca
( quella della prima sezione di Mal giocondo, intitolata Romanzi
), e l’aspetto del mondo reale che incominciava a rivelarglisi per
quello che esso è : immensa ragnatela laida, volgare, e triste. E in Triste, che è l’ultima sezione di Mal giocondo, bruciando le vecchie
carte, Pirandello si immerge nell’agone della vita:
Bruciai le vecchie
carte
Naufragar or voglio nel vorace
Mare inquieto dell’umano affanno
……..
Oh viaggio curioso de le vite
Sciocche d’innumerabili mortali!
Oh per le vie de le città spedite,
che retata di drammi originali!
( Triste, I; II )
Pirandello come poeta della disarmonia, che avverte il contrasto tra
ideale e reale, tra il “paese dei sogni”( Romanzo V) e questa “ terra
di miserie piena”, è già maturo fin da queste prove poetiche giovanili;
prima ancora che l’umorismo venga teorizzato, Pirandello è già poeta “
del sentimento del contrario”, che persegue il proposito di un’arte”
sincera”, “ nuda” come lo è la Vita!
Scrive il Nostro in una lettera del 1924 :” Il mio primo
libro fu una raccolta di versi, Mal giocondo….Lo noto, perché han
voluto dire che il mio umorismo è provenuto dal mio soggiorno in
Germania (1889; e non è vero: in quella prima raccolta di versi più
della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non sapevo
neppure che cosa fosse l’umorismo…”
“Ogni ideal è in van s’egli t’impaccia” ( Momentanea
IV ); “ Altro da quel ch’io era/ su la terra, tra gli uomini discesi/
però che tutta dolorando appresi/ nostra miseria vera” ( Momentanea VII
) ; “ Or non è cosa alcuna / che mi piaccia o m’addolori. Sento/la
viltà della terra, e non lamento/ nostri casi e fortuna…”(
Momentanea VII); “ Sento de l’egra vita,/d’ogni lotta tenace/ la vanità
infinita […]/Ecco, rinunzia ad ogni/ alto ideal la mente;/ fuggon
da gli occhi i sogni…”( Momentanea VIII).
Per inciso faccio notare che quest’aria di smobilitazione del vecchio
armamentario romantico, di stanchezza, di rinuncia e di rifiuto dei
vecchi sogni romantici, è quella che si respirerà fra breve in tutta la
poesia crepuscolare, e oltre. Pirandello l’anticipa! Dirà Gozzano:
Oh questa vita
sterile, di sogno !
Meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita!
( Signorina Felicita )
E Corazzini.
Io voglio morire,
solamente, perché sono stanco
Solamente perché io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
( Desolazione di un povero poeta sentimentale)
Anche lui, come già Pirandello, farà le sue brave svendite stagionali :
Signori! Ha
principio la vendita
delle mie idee.
Avanti! Chi le vuole?
Idee originali
a prezzi normali
………….
( Bando, del 1906)
Se, dunque, “ ogni ideal è vano s’egli t’impaccia”, non resta che
guardare in faccia la realtà di fango senza più schermi illusori ( si
veda Triste VIII); guardare “ questa enorme trottola
sciocchissima / per gli spazi lanciata”, che è la nostra Terra, e
ridere “ de l’umana sciocchezza”.
Guardare in faccia la realtà significa ricapitolare il proprio io
nel segno della contraddizione, farsi carico della disarmonia del
mondo, “[…] de l’umane genti / raccogliere pria[…] i pensieri e
gli affetti e gli odi e il pianto”( Solitaria); rifiutare il facile
ottimismo dell’io idealistico ( o di quello mistico o profetico di
certi decadenti), per affermare un nuovo io che “ con poderoso
canto” sveli “ la vanità de l’essere infinita”; quell’io problematico e
“copernicano” della “maschera nuda”.
Ebbene, in Zampogna (1901) e,
soprattutto in Fuori di chiave (1912),
quest’io problematico, e disarmonico, fa decisamente la sua comparsa
per attuare un progetto radicalmente nuovo di poesia, pienamente
novecentesco, se è vero quello che scrive S. Ramat “ essere la poesia
novecentesca un’ipotesi di poesia come mondo prioritario, aurorale, che
dovrà conquistarsi una vitalità attraverso la coscienza della propria
crisi perpetua, dunque attraverso la stessa coscienza critica che
intanto impone si riparta da zero”.
Entro questa prospettiva di impegno “novecentesco” alla poesia ( né
consolatoria, né mistificatoria) da parte di Pirandello, è forse
possibile recuperare il suo valore di testimonianza storica e la sua
peculiare originalità, anche espressiva. Ed entro questa prospettiva si
pongono, sicuramente, Zampogna( 1901) e Fuori di chiave (1912),
soprattutto, anche cronologicamente per come sono, al di là dello
spartiacque del secolo nuovo.
In queste due raccolte di versi, si può dire, parafrasando Montale, che
Pirandello abbia “ torto il collo alla eloquenza della nostra vecchia
lingua aulica, magari a rischio di una contro eloquenza.
Il titolo Zampogna ci richiama ai modelli della poesia georgica. Il
riferimento agli idilli di Teocrito è dello stesso Pirandello. Il tema
agreste era in voga in quest’ultimo scorcio di secolo. Un nome per
tutti: Pascoli delle Myricae(1891) e dei Poemetti(1897). Scrive
V.Zambon che, dopo il dolore di vivere , così scoperto nelle Elegie
renane(1895), Zampogna
rappresenta “ il momento più spontaneamente lirico della poesia
pirandelliana”. E ciò può essere vero, ma fino a un certo punto-
E’ vero che quello di Zampogna è il momento del ritorno al mondo
semplice e puro della natura, dopo le nebbie del nord, del
ritorno alla madre terra siciliana, sempre presente nella “ mitica
coscienza dell’autore agrigentino”:
Casa romita in
mezzo a la natia
Campagna, aerea qui, su l’altipiano
d’azzurre argille, a cui sommesso invia
fervor di spume il mare aspro africano
te sempre vedo….
( Ritorno I, La via )
E però, si badi: quello che in questa poesia , intitolata, appunto,
Ritorno, a prima vista può sembrare un romantico perdersi dell’io
individuo in un non tempo e in un non spazio di una mitica
infanzia ( - che è il pericolo “ romantico “ di tanti miti agresti-) in
effetti non lo è, perché alla fine sui sogni dell’infanzia finisce per
prevalere il senso della realtà, la presenza della ragione, di quell’io
che indaga e distingue, di quella riflessione che, come un contro
canto, s’inserisce nel canto come una interferenza che spezza
l’illusoria dolcezza della memoria; così, nella parte seconda dello
stesso Ritorno (-che ha per sottotitolo, crepuscolare: rifugio-) sull’
“anima infantile” memorante interviene l’io indagatore e raziocinante:
- Il gelso?
Non c’è più. C’è solo il masso
tigrato, ov’io sedea, nascosto all’ombra…
………………………………………………………………….
- Bambino, ragioni, sì,…ma meglio
è se tu canti...
(Ritorno II)
Le interferenze sono la spia di come sia messo in atto
coscientemente in Zampogna un
tentativo di “sliricamento” che si muove nella prospettiva di un senso
novecentesco della poesia, di un senso cioè consapevolmente critico,
umoristico, disarmonico di guardare le cose, che non consente più
facili e pacifiche comunioni con la Natura . Pirandello guarda alla
Natura senza le suggestioni, le allusioni e la “vibratilità” del
sentire “fanciullo “ del Pascoli. E questo perché il Decadentismo del
Pirandello appartiene a un altro versante, non certo a quello che
privilegia il valore autonomo dei “significanti” ; l
‘inquietudine esistenziale del Nostro ci riporta da altre parentele : a
uno Svevo o a un Montale.
Lo scavo della riflessione umoristica, la consapevolezza critica della
impossibilità del sogno agreste, e , dall’altra parte, la nuda aderenza
alle “cose” di tutti i giorni, la minuta osservazione della realtà,
preludiano in Zampogna ai toni propri della poesia crepuscolare, dove è
forte il compiacimento della rinuncia al lusso (verbale)
dannunziano, nonché la distanza dalla vibratilità
pascoliana. Pirandello si muove in direzione della “dissolennizzazione”
della poesia ,verso la colloquialità ironica e scherzosa alla
Palazzeschi!
Si legga, a mo’ di esempio, tra i tanti possibili, la
poesia Luna sul borgo:
Lampioncini a
petrolio, questa sera
Riposo: c’è la luna che dal cielo
rischiara il borgo in vece vostra. Velo
non le faran le nuvole, si spera.
Compaiono in Zampogna l’uso di frasi nominali, certa linearità
disarticolata, frantumazioni paratattiche, volontà di rompere con certa
facile cantabilità ecc. ecc .che sono tutti segnali
caratteristici di quella “dissonanza ” che è il tono dominante, alluso
financo nel titolo, della successiva Fuori di chiave, “il libro più maturo
stilisticamente” di Pirandello, poeta della disarmonia”!
Nel primo decennio del Novecento matura la poetica dell’umorismo:
Il saggio omonimo è del 1908; Il fu Mattìa Pascal è del 1904.
Intorno a questi anni avviene , poi, il passaggio definitivo al
teatro: Pirandello da poeta si fa personaggio drammatico che si
scopre “atomo in cielo”; un cielo “bucato” per colpa di Copernico. Che
maledetto sia! Ha “rovinato l’umanità, irrimediabilmente.
Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione
dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente
nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni”.
Fuori di chiave, pubblicato nel
1912, sembra riassumere tutti i temi pirandelliani già presenti nelle
opere narrative e saggistiche di quel decennio ; temi dai
quali, poi, lo scrittore non si allontanerà mai più nel prosieguo
della sua attività creativa: visione pessimistica della vita,
scomposizione della personalità, ironia e grottesco dell’esistenza,
assenza di ideali, angoscia esistenziale, crisi di valori storici e
culturali, ecc. ecc.
Leggasi la poesia di apertura: Preludio: Orchestrale.
Al violin
trillante una sua brava
sonatina d’amor, con sentimento,
il contrabbasso già da tempo dava
un non so che strano, rauco ammonimento.
Allora io non sapea, nella cava
pancia del mastodontico strumento
si fosse ascosa una mia certa dama
molto magra, senz’occhi…
………….
Da quel suo novo nascondiglio esala
Il suo frigido fiato nell’orchestra..
Il “frigido fiato dell’orchestra” sembra ribadire l’estraneità
ormai del poeta alla disposizione lirica.
Con Comiato, infine, che è la lirica conclusiva della raccolta,
l’autoironia sul proprio passato di poeta , che ha svenduto le sue
nuvole, diviene definitivo proposito di silenzio, programma di
cantare in persona d’altri, dopo la estrema consunzione dell’io lirico.
Comiato
O vecchia Terra, è
vero, e me ne pento;
riconosco che il torto è tutto mio.
Se da tant’anni il cor più non mi sento
se non come un fastidio, anzi un rodìo
continuo in petto, e più non amo, e sono
quasi un tizzone spento, in abbandono,
come puoi tu sembrarmi bella?
…
… … …
… …
Io che mi sono senza cuor ridotto,
d’ora innanzi, ti giuro, starò muto;
questo, ti giuro, è l’ultimo saluto.
E’ quel “silenzio di cosa” di Serafino Gubbio operatore, quel silenzio
che prelude ormai - l’avevamo già sospettato - al passaggio quasi
obbligato al teatro; obbligato nella misura in cui la "densa sostanza
di pensiero e sentimento", che sono alla base della concezione
tragico-umoristica di Pirandello, non poteva più essere espressa
attraverso il vincolo della versificazione.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
Bibliografia essenziale.
Testi consultati.
Luigi Pirandello, Saggi, Poesie, Scritti vari, ed. Mondadori
L. De Castris ,Storia di Pirandello, ed. Laterza - C. Salinari, Miti e
coscienza del decadentismo italiano, ed. Feltrinelli - W.
Binni, La poetica del Decadentismo, ed. Sansoni - L. Anceschi, Le
poetiche del Novecento in Italia, ed. Paravia - G. Giudice,
Pirandello, ed. Utet - Pirandello poeta, ed. Vallecchi ( Atti del
Convegno internazionale su Pirandello poeta, organizzato dal “Centro
studi pirandelliani” Agrigento) - G. Munafò, Conoscere
Pirandello, ed. Le Monnier - G. Macchia, Pirandello o la stanza della
tortura, ed. Mondadori.
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