Perché il registro elettronico è un' illusione educativa
Data: Venerdì, 04 gennaio 2013 ore 09:00:00 CET Argomento: Rassegna stampa
Voti e assenze
online permettono ai genitori di controllare tutto in tempo reale e da
casa, ma così si smaterializzano i rapporti e vengono meno l'incontro e
la fiducia - Sembra una formula magica di minaccia, invece è un
progetto di innovazione che coinvolge tutta la scuola italiana. Prevede
iscrizioni e certificati online, pagelle elettroniche, registri di
classe e personali in formato elettronico. Si chiama "Piano per la
dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di
istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei
docenti, del personale, studenti e famiglie". Da questo anno scolastico
tutto ciò è obbligatorio, però nel modo in cui sono obbligatorie le
innovazioni in Italia, ovvero "senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica". Il che vuol dire che abbiamo tutto il tempo di
farci sopra una riflessione.
Si può parlar male del registro elettronico? O almeno guardar dentro a
qualche suo effetto collaterale?
La domanda non è se funziona o non funziona. Alla fine certo che sì.
Dopo aver trovato le risorse per acquistare o affittare i notebook per
tutte le aule di tutte le scuole del regno e per pagare i contratti
alle aziende incaricate di risolvere i pluriquotidiani problemi tecnici
e di garantire assistenza continua, dopo aver formato tutti gli
insegnanti, governato le rivolte per lo stress iniziale da voti
scomparsi e da password smarrita, blindato il sistema contro
allievi-piccoli-hackerinformatici, alla fine funziona. Poi è un attimo
trovare il quadro complessivo dei voti, la media della classe, della
scuola, per materia, per provenienza geografica, per sesso, le assenze,
le note, i ritardi, ancora per materia e per sesso. Per appartenenza
religiosa e situazione sanitaria in teoria no, perché son dati
sensibili. Ma il resto sì.
Fin qui siamo (tutti) contenti. Si chiama efficienza ed è proprio da
conoscere quello che vorrebbe compilare le pagelle a mano come pochi
anni fa ancora capitava. Scrivere i voti uno a uno, e anche le assenze,
decine di volte in decine di documenti. No no. Mai più. I voti e le
assenze. Il registro elettronico permette di vedere online i voti e le
assenze. I genitori dei ragazzi accedono con password e sanno in
diretta, in tempo reale, se il figlio è a scuola o no, quale voto ha
preso, in quale materia, la media, le note disciplinari, gli esiti
intermedi e finali. Tutto tutto. Quel che altrimenti o comunque
avrebbero saputo andando a colloquio con i docenti. Lo sanno da casa.
Dall'ufficio. Da smartphone.
Dove il registro elettronico c'è da un po', capita che i genitori non
si facciano più vedere ai colloqui con i docenti o alle riunioni della
Consulta, basta il voto letto sul video, la media la sanno fare da sé.
Come se la valutazione fosse cosa di numeri: niente storia di una
conquista da raccontare e condividere, niente alleanza educativa da
concordare. La scuola in numeri: quattro-cinque-sei. Oppure i genitori
a scuola ci vanno, ma vanno a fine quadrimestre e a fine anno, a
contestare il voto in pagella, perché non rispetta la media dei voti
monitorata per mesi online. Come se il processo di apprendimento e
crescita potesse diventare un numero appunto.
Con bel margine di paradosso, in anni in cui la crisi di partecipazione
investe la scuola come tutta la realtà sociale e in cui nascono
progetti per riportare i genitori a sentire la scuola realtà propria, a
sentire che il "noi" della scuola comprende tutti, noi e loro. Questa
iperconnessione sembra ratificare che quel che resta sono i rapporti
immateriali. Una spiritualizzazione tecnologica. Fede in una tecnologia
che sostituisce la relazione con la connessione. Sicuri che questo sia
bene?
È possibile che senza ben pensarci si stia avvalorando un vuoto
tremendo. Vuoto di parole dette, di fiducia conquistata. Di fiducia.
Non solo fra scuola e famiglie, ma forse e di più fra genitori e figli.
Anche se il figlio non parla di scuola, con il registro elettronico il
genitore comunque "sa" quel che conta. Il voto. L'assenza. Il marinare
la lezione. Subito. L'istante che ci domina. Non c'è per il ragazzo
quel tempo sospeso tra ciò che capita e il momento in cui se ne deve o
può parlare. Il tempo di pensare, il dispiacere per il voto preso, il
proposito di rimediare, il dire sì, è un brutto voto, ma con la
promessa già pronta: sto studiando, domani mi faccio interrogare. O
sperare che l'impulso di una mattina in fuga da scuola non sia
scoperto. Capire da sé che non va bene. Poter ricominciare da un voto
non scoperto e riparato, da un bigiare di cui ci si dispiace da soli.
Come non c'è per i genitori il tempo per dedicare attenzione a quel che
capita, interpretare i segnali, le parole non dette, aspettare quelle
che possono arrivare se si lascia il tempo, appunto, e decidere che va
bene, stavolta passa, perché il figlio ha capito, e poi vediamo.
Sapere tutto subito placa l'ansia ma non sostituisce la fiducia.
Codifica un terreno di ambigua trasparenza. In cui abita anche lo
studente che infrange le regole. Uno studente che manometteva o
bruciava il registro di classe cartaceo era limpidamente un mascalzone.
Uno che viola il registro elettronico è in una confusa posizione di
genialità male utilizzata. La notizia recente è che uno di questi
studenti nello stesso giorno ha ricevuto, per il suo gesto di
hackeraggio scolastico, dalla scuola una sanzione e da un'azienda
informatica un'offerta di lavoro.
In una scuola che ha soprattutto bisogno di alleanze concretissime di
idee, persone e risorse, il registro elettronico può diventare un
abbaglio che ci permette ancora una volta di non vedere quel che
capita. Una fondamentale vita di relazioni che si perde. Chi lavora a
scuola conosce l'importanza di guardare dritto dritto lo studente, a me
gli occhi, nel momento in cui si scopre la firma falsa sull'assenza. Il
decidere se dirlo o non dirlo al genitore o al ragazzo stesso, se far
capire che si è capito, con lo sguardo che parla al posto delle parole,
e basta quello, per sempre.
Più avanza il possibile della tecnologia, più bisogna custodire la
materialità delle relazioni. La relazione educativa è incontro.
Incontrarsi è un argine all'idea che tutto possa esaurirsi nella
virtualità di un rapporto online. Forse è di moda lasciarsi con un sms,
a volte anche senza nemmeno quello. Di certo sarebbe indecente bocciare
un ragazzo attraverso una comunicazione via web.
La smaterializzazione (orrenda parola, vorrà dire qualcosa il fatto che
sia così brutta la parola? Le parole contano, eccome) della scuola può
andar bene per l'effi-cientamento (e qui il lessico vira verso
l'horror, ma sta scritto proprio così) delle carte e procedure, certo
non per i rapporti, che hanno bisogno del corpo. Gli occhi che
scappano, le mani che da adolescenti non si sa dove mettere, la voce
che dice la verità, le parole che spiegano, tante parole che spiegano
come la fiducia è qualcosa che si costruisce fra persone che si
incontrano e parlano, non su un computer che ci denuncia
Mariapia Veladiano
www.repubblica.it
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