Un brevissimo omaggio a Pascoli, nel centenario della sua morte
Data: Sabato, 15 dicembre 2012 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


(31 dicembre 1855 - 6 aprile 1912). Per Pascoli, il poeta del “fanciullino”, non tutto si riduce alle sole leggi naturali della fisica e della chimica. C’è una realtà che va oltre le forze meccaniche e inorganiche. C’è una Natura più viva, capace di partorire energie fluide; una Natura organicista, che obbedisce a movimenti più “flessuosi”, più segreti, e a vincoli irrazionali. Una Natura che ha una voce tutta sua che è mistero che impaura, con i suoi silenzi, con il buio degli spazi cosmici, con le sue “ulteriorità”, i suoi ”aldilà” metafisici, trascendenti. Aleggerli con sensibilità più acuta, i dati “oggettivi” della natura, le sagome delle cose che il poeta ci presenta (animali,  piante, gli stessi protagonisti umani) sono i “significanti” di una scrittura che rinvia, sì, agli inevitabili “significati”, ma quest’ultimi, a loro volta, non riescono mai - come scrive Bruno Barilli - a “distaccarsi dalle spoglie che li veicolano. E’ come dire che ci sarà l’atto incessante dell’interrogazione, ma non una risposta, una soluzione netta ed esplicita”.
Insomma, i versi del Pascoli anche se non rinnegano mai la partenza da una base sensibile-naturale, nel risultato finale si rivelano di una determinatezza e precisione illusoria e ingannevole, allusiva; il dato positivo serve solo per “tirar fuori” dal significato particolare  il generale, dal fatto l’Idea. E anche questa, in definitiva, non del tutto dicibile se non per interpunzioni.
Sebbene nato in piena età positivista, la sensibilità poetica del Pascoli appare tutta impregnata di quel simbolismo fin - de- siècle, da cui tanta chiara e fresca linfa vitale trarranno le poetiche del primo Novecento.
Leggiamo, da ”Primi poemetti“: Il libro
 
Sopra il leggio di quercia è nell'altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch'uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d'un tratto ... ) sia venuto, e lento
sfogli - se n'ode il crepitar leggiero -
le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento,
invisibile , là, come il pensiero…

II
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all'estrema, rapido, e pian piano
va, dall'estrema, a ritrovar la prima.

E poi nell'ira del cercar suo vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l'impazïente  mano.
E poi li volge a uno a uno, lenta-
mente , esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta... Trovò? Non gemono le porte
più, tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge?... Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.

III
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia;  tra un errar di tuoni,
tra un aliare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l'ombra tende, e viene
con le deserte costellazïoni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n'odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti
sotto le stelle, il libro del mistero.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com





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