Il bello dell’arte, un falso problema?
Data: Venerdì, 16 novembre 2012 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Oggi, l’artista, per sopravvivere deve essere - si dice - un creativo, piuttosto che un  creatore. Un prammatico creativo  che produce solo in vista del mercato, e per soddisfare i gusti correnti di probabili  suoi acquirenti. Insomma, egli deve, prima che a "una speciale remunerazione psicologica", mirare, piuttosto, a una immediata affermazione del suo "prodotto", in termini di un personale tornaconto economico. L’arte essendo  "un momento del circuito economico della società", includente, ovviamente, un "financing plan" vero e proprio, fatto di "astuzie"  e di "compromessi", tra soggetti diversamente interessati ( autore - pubblicitario - editore - fruitore - critico, ecc. ecc.),  obbedienti  tutti alle leggi del   mercato. Del resto, la mercificazione dell’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica nella società globalizzata  di massa è un fatto datato, e scontato. Ma allora, mi chiedo: il bello dell’arte è un falso problema ?  L’artista creatore, che preferisce la fame pur di non tradire il suo ideale di bellezza, il ribelle che sfida il filisteo gusto borghese, che non si piega alle logiche del profitto, che va controcorrente, che insegue i suoi sogni di gloria libero dai vincoli  del nudo interesse e dello spietato "pagamento in contanti",  è un falso mito romantico archeologico, decisamente improponibile, o non mai esistito? Una pietosa menzogna?
A me, non pare. Per i veri grandi artisti, io credo che l’arte sia sempre stata, ed è, in primis, un bisogno di libertà di espressione assoluta, e assolutamente disinteressata; che viene prima di ogni altra prammatica pressura di calcoli economicistici. Un bisogno dell’anima, che l’artista non può mettere da parte”,  (o considerare alla stregua di un’arte - mestiere qualunque, di cui proverbialmente si dice: "impara l’arte e mettila da parte"), ma deve necessariamente soddisfare, come atto identitario gratuito comunicativo-espressivo, a qualsiasi costo, anche della propria vita. Quanti artisti ribelli a ogni mercificazione dell’arte, sono morti poveri e/o  incompresi, per  inseguire i propri sogni di bellezza e di poeticità e di purezza, non sempre convergenti con il gusto e l’attesa del pubblico. Poi, si sa, una volta fatta, l’arte appartiene agli altri. E della "fruibilità" della sua creatura da parte dei destinatari finali, come del destino del suo valore  effettivo di /sul  "mercato", all’artista non sempre, anzi, quasi mai, è dato sapere. Così, mi piace credere.
 
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com


« L’arte è una questione di libertà, non di genialità». Ma l’arte è mestiere? Io non credo.





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