Chi nasce tondo può morire quadrato
Data: Lunedì, 29 ottobre 2012 ore 06:00:00 CET
Argomento: Redazione


Quando frequentavo i primi anni del liceo ricordo che ci portarono al cinema a vedere il film "Mery per sempre", ambientato nel carcere minorile di Palermo. Da allora non porto con me le scene dure o il linguaggio violento, ma queste parole: «Chi nasce tondo non può morire quadrato!». Nonostante anche la geometria sostenga questa espressione, io non vi ho creduto allora e ancor di meno ora da adulto e educatore, e non penso che sia perché non amo quella materia. Non sempre gli educatori, i docenti, crediamo fino in fondo all'azione educativa o a quanto professiamo; spesso si resta fermi alle buone intenzioni, alle idee, alle teorie, ai convegni e alla tante parole, forse troppe! C'è bisogno di uno sguardo nuovo, meravigliato, trasognato e allo stesso tempo concreto sull'educazione; cambia la prospettiva, si va all'essenziale, si guarda con il cuore, si sta con i piedi per terra, lo sguardo in cielo e in maniche di camicia. C'è bisogno poiché spesso la società e l'ambiente in cui si nasce e cresce non fanno respirare, pensare e sognare. Qualche giorno fa sono stato invitato da due colleghe per incontrare gli alunni di una scuola professionale e di una scuola media site la prima in un paese e l'altra in un quartiere periferico. Il tema da affrontare era "C'è del buono in questo mondo?". All'inizio del confronto solo pessimismo sia nei piccoli che nei grandi: «Tanto qui siamo tutti così», diceva uno; «qui non può cambiare niente», affermava un'altra; «io ho provato a essere diverso, ma sono rimasto solo perché tutti la pensano allo stesso modo». Queste parole, le loro espressioni deluse, i volti "sconfitti" già a 12 o a 16 anni, sono state per me frecce appuntite come quelle parole del film. Hanno colpito il mio cuore e la mia mente continuamente, chiedendomi di mettermi in gioco, di non smettere di credere e di testimoniare il bene che c'è in questo mondo, che è possibile spiccare il volo e far quadrare il cerchio della propria vita. Così, dopo averli ascoltati, ho fatto vedere e commentare loro alcune scene del film «Les choristes», in cui un insegnante di musica, assunto come sorvegliante in un istituto di rieducazione per minori, crede al cambiamento, nel lato buono delle cose, nella possibilità che anche i ragazzi difficili abbiano sempre «un punto accessibile al bene» e che valorizzarli sia il modo migliore per non precludere loro la speranza nel futuro. Questo ottimismo lo induce a concedere varie opportunità di crescita ai suoi giovani allievi e dalla loro maturazione e soddisfazione trarrà arricchimento lui stesso. «Percepisco – afferma Mathieu - negli sguardi dei miei ragazzi il desiderio di libertà, di costruirsi capanne in cima agli alberi, e di non poterlo fare». Anch'io, alla fine dell'incontro con quei ragazzi, ho percepito qualcosa, ho visto alcuni sguardi rinnovati almeno in quel momento, ho sentito parole nuove come «allora ce la posso fare pure io» o «da soli è più difficile, ma se qualcuno ci aiuta è possibile». Più di tutto due scene porterò nel cuore e non del film bensì dai due incontri con le scuole: un ragazzo che, finito il confronto, mi racconta il suo sogno di fare il volontario nella Croce Rossa e una ragazzina che, al suono della campana, senza che nessuno le dicesse nulla, aiuta il compagno diversamente abile a sistemare lo zaino, a pulirsi il naso, e gli fa compagnia nell'atrio della scuola finché non vengono i genitori a prenderlo. Mi spiace per i matematici, ma la geometria ha perso: il cerchio è quadrato!

Marco Pappalardo
marcopappalardo01@gmail.com





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