
Vorreste davvero un insegnante amico? Riflessioni controcorrente sul video di Vecchioni
Data: Domenica, 21 ottobre 2012 ore 06:00:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Basterà un
video accattivante, con la voce suadente di Roberto Vecchioni, a rifare
il maquillage della scuola e renderla attraente agli occhi del mondo
degli studenti, diversi non solo per età e per stili di apprendimento,
ma anche per condizione sociale, per motivazione, per comportamenti a
rischio, per aspettative ed ambizioni? Ma soprattutto, basterà a
sollecitare da parte loro un senso civico, un senso di appartenenza
alla cosa pubblica, di rispetto per il bene comune che contribuiscano
alla rinascita di credibilità della scuola? Non sembra crederci troppo
neppure la sempre brillante Isabella Bossi Fedrigotti, che pure dalle
colonne del “Corriere della sera” invita tutti gli operatori della
scuola a non ignorare la bella immagine di Vecchioni insegnante-amico e
a farne tesoro per la loro attività educativa.
Ma veramente quel che serve alla scuola è un insegnante amico?
E’ innegabile che il video di
Vecchioni, commissionato dal Ministero dell’Istruzione, riesca a
trasmettere messaggi di fiducia e di ottimismo e forse il
Ministero non ha sbagliato a curare anche questo risvolto della
comunicazione, ma la scuola ha
bisogno di ben altro. Augurarsi che insegnanti e presidi
indossino la giacchetta dell’amico per accattivarsi le simpatie di
studenti talvolta borderline, talvolta arroganti e presuntuosi, spesso
fragili e insicuri, non è certo il modo di affrontare seriamente i
problemi della scuola.
Merito, regole, prestigio degli
insegnanti, competenze professionali hanno poco a che fare con
l’amicizia. I ragazzi trovano amici in abbondanza tra i loro pari. Ma
da chi vanno quando hanno bisogno di essere educati? L’insegnante non
può essere semplicemente un amico, uno di quelli con cui si confidano
sul muretto. L’insegnante deve essere educatore autorevole, giudice
severo quando serve ma umano, capace di ascoltare e di cogliere i segni
del disagio. Se fa l’amico, genera confusione e disorientamento nei
rapporti, propone un modello di relazioni fuorviante, non prepara i
giovani alle impegnative realtà che li attendono nel mondo del lavoro.
Insomma, viene meno ai suoi compiti. Che sono gravosi e richiedono
grande professionalità e competenze piuttosto che facile buonismo.
Compiti tanto più gravosi quando ci si trova nelle scuole di frontiera, quelle
dove è alta la dispersione, dove lo Stato cerca di strappare
manovalanza alla mafia, per farne cittadini onesti, dove sembra già un
risultato sentir enunciare concetti comprensibili e non suoni
indistinti. Nella famosa Finlandia – quella che sta in cima ai
risultati delle indagini Ocse – gli insegnanti migliori, quelli meglio
retribuiti, quelli più prestigiosi vanno proprio nelle scuole più
difficili e non vanno a fare gli amici degli studenti, vanno a educarli.
I mali della scuola italiana sono tanti e a volerli catalogare tutti ci
vorrebbe un’enciclopedia, ma non si può condividere l’apocalittica
visione di Giorgio Israel che su Il sussidiario.it tuona contro tutti,
contro il ministro Profumo, contro Vecchioni e contro il decadimento
dei tempi presenti. Israel ha però ragione quando afferma che “è
semplicemente penoso confrontare le barriere sociali che pone la scuola
di oggi – tanto più quanto più solletica idee ludiche e si prostra
davanti al soggetto studente – di fronte all’ascensore sociale che era
possibile nella scuola italiana postunitaria; quando il futuro 'signor
scienza italiana' Vito Volterra, figlio di una vedova indigente e
destinato al mestiere di impiegato, riuscì a farsi valere in un
istituto tecnico sotto la guida di un professore di fisica che ebbe
l’autorità (quale professore di istituto tecnico l’avrebbe oggi?) per
farlo entrare alla Normale di Pisa”.
Non è una sterile laudatio temporis acti, ma una considerazione seria
che dovrebbe indurre a riflettere. Tutti - l’utenza più sensibile alle
lusinghe del presunto volto amico, i sostenitori del buonismo
rinunciatario, i fieri oppositori di ogni forma di valutazione del
servizio scolastico e del lavoro degli insegnanti - dovrebbero
cominciare ad auspicare una scuola
che contribuisca allo sviluppo formando cittadini, lavoratori
qualificati e competitivi, e che lo faccia attraverso
innovazioni che introducano la meritocrazia, eliminino i pesanti
fardelli burocratici, snelliscano le procedure formali a vantaggio dei
valori sostanziali, permettano la valutazione della qualità. Il volto amico non c'entra.
Donatella
Purger - Firstonline.info
donatellaaura@gmail.com
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