
Documento dei docenti del Liceo Pilo Albertelli contro l’articolo 3 della legge di stabilità 2013
Data: Sabato, 20 ottobre 2012 ore 06:00:00 CEST Argomento: Opinioni
VOTATO IN COLLEGIO
DEI DOCENTI IL 15/10/2012
I docenti del Liceo Pilo Albertelli denunciano la grave situazione che
si verrà a creare nella scuola italiana qualora venisse approvato
l’articolo 3 della legge di stabilità 2013, attualmente in discussione
nelle Commissioni di Camera e Senato.L’articolo in questione aumenta di
un terzo l’orario di lavoro dei docenti a parità di salario. Si tratta
nel metodo e nel merito di un provvedimento sbagliato e iniquo. Nel
metodo perché, in assoluto spregio al diritto e alla Costituzione della
Repubblica, si interviene su una materia che è regolata da contratti
liberamente sottoscritti fra le parti e si impongono dall’alto
prestazioni di lavoro che non sono previste nel CCNL attualmente in
vigore: si tratta di un pericoloso precedente che mortifica la civiltà
del lavoro e delinea un paradigma autoritario e illiberale di relazione
stato-cittadino. Neanche nei modelli totalitari lo stato interveniva a
stabilire i tempi di lavoro e persino lì si preservavano le apparenze
della contrattazione fra le parti.Ma il provvedimento è anche sbagliato
nel merito. Chiunque operi nella scuola, infatti, sa bene che le ore di
lezione frontali sono soltanto una parte dell’attività di un docente,
che spende la propria professionalità anche nella preparazione delle
medesime, nella predisposizione e nella correzione dei compiti in
classe, nei ricevimenti delle famiglie, nella programmazione e nelle
attività collegiali. Occorre poi sottolineare con chiarezza che
l’aumento dell’orario di lavoro non si tradurrà in un incremento delle
ore di lezione impartite in una singola classe (che sono anzi state
notevolmente diminuite dalla Riforma Gelmini), ma in un numero maggiore
di classi per singolo docente, il che tenderà a indebolire l’aspetto
relazionale della didattica, a spersonalizzarla e ad allontanarla dalle
esigenze e dai bisogni dello studente, che invece sarebbe doveroso
valorizzare nella sua individualità.Occorre poi dire con chiarezza che
docenti italiani hanno un carico settimanale di ore di lezione in
classe – che, lo ripetiamo, sono solo una parte del totale – superiore
alla media europea, sia nella scuola primaria (22 contro 19,6) sia
nella secondaria superiore (18 contro 16,3) e praticamente identico
nella scuola media (18 contro 18,1). Alcuni esempi concreti possono
chiarire ciò di cui stiamo parlando: un docente francese a inizio
carriera, abilitatosi con l’agrégation, ha 15 ore di lezione frontali a
settimana per circa 2500 euro di stipendio, mentre il suo omologo
italiano ne lavora 18 (oltre a tutto il carico supplementare di lavoro
a casa di cui abbiamo parlato) per circa 1300; ora gli si chiede di
lavorarne 24, andando di fatto a ridurre il suo stipendio orario.
L’effetto di questo provvedimento sarà devastante in termini sociali:
se il nostro orario aumenterà di un terzo, una cattedra su quattro sarà
assorbita da chi già lavora; secondo alcune stime si perderanno circa
30 mila posti di lavoro. Ancora una volta, dopo la soppressione di 87
mila cattedre per effetto della riforma Gelmini, dopo il blocco degli
scatti di anzianità e la mancata firma dei contratti di lavoro, scaduti
da anni, è la scuola a pagare la crisi. In Italia come in Europa i
debiti sovrani vengono garantiti dal sacrificio dei lavoratori e dal
taglio del welfare, mentre ingenti risorse vengono dirottate sulle
banche e su quei soggetti che sono responsabili della crisi, con un
tasso di iniquità sociale che non ha precedenti dalla fine della
seconda guerra mondiale.A perdere il lavoro saranno quei giovani
docenti, che il Ministro dice di voler tutelare: un massacro
generazionale, dunque, oltre che sociale; i giovani insegnanti, che
lavorano da anni come supplenti reclutati dalle Graduatorie ad
Esaurimento e assicurano con la loro professionalità e la loro
competenza il regolare andamento dell’anno scolastico, vengono ora
tagliati come rami secchi, senza considerare che si tratta di abilitati
vincitori di concorso, titolari in alcuni casi di dottorati di ricerca
e di master; il massacro è dunque sociale, generazionale e cognitivo,
ciò che la nostra comunità repubblicana non può permettersi in questo
momento di gravissima crisi economica. C’è poi un altro aspetto:
quest’ansia di misurare con parametri esclusivamente quantitativi il
lavoro dell’insegnante, anziché qualitativi, nasconde un profondo
disprezzo che vuol fare di lui non più un intellettuale che tramanda
cultura e costruisce un’apertura di senso nel dialogo educativo con gli
studenti, ma un guardiano a ore pagato per un parcheggio giornaliero e
chiamato a impartire un sapere talmente elementare e meccanizzato che
si possono aumentare a piacimento le sue ore di lavoro, senza che
questo comporti un abbassamento del livello qualitativo. In realtà le
cose non stanno così e la dequalificazione dell’insegnamento, la sua
regressione a ripetizione sproblematizzata sarà inevitabile: parte del
tempo che il docente impiega, nelle biblioteche o a casa, nella propria
formazione, nello studio e nella selezione del materiale didattico
verrà occupata dal carico di lavoro supplementare e la figura
dell’insegnante-intellettuale (pensiamo che Pavese, Pasolini e molti
altri sono stati all’inizio insegnanti di liceo!) verrà integralmente
distrutta. Ma non c’è soltanto il mancato riconoscimento di questo
ruolo; è in gioco anche un profondo disprezzo per il lavoro in quanto
tale, il retro pensiero, neanche tanto celato, che il corpo del
lavoratore sia una macchina che può esser fatta funzionare sempre più a
lungo e alla quale si possono estorcere energie sempre maggiori – idea
infondata tanto più quando il lavoro in questione è di tipo
intellettuale e richiede lucidità e presenza a sé. Non si tratta
soltanto della fatica fisica di fare lezione su argomenti eterogenei,
complessi, che richiedono preparazione e studio continui – a un docente
di filosofia e storia può capitare di far lezione nello stesso giorno
sulla Deduzione trascendentale delle categorie in Kant, sulla guerra
dei Trent’anni, sulla crisi del ’29, sulla dottrina dei predicabili in
Aristotele, sulla curva dei prezzi alimentari nel 1300,
sull’epistemologia post popperiana – ma di un disegno che, aumentando
le ore attraverso l’assegnazione di un maggior numero di classi, incide
pesantemente sugli aspetti relazionali dell’insegnamento e
sull’attività di ricerca correlata alla didattica e ad essa
finalizzata. Questa barbarie che si sta perpetrando contro la civiltà
del lavoro e la cultura ci spinge ad una resistenza non violenta, ma
ferma e intransigente. È perciò che i docenti del Liceo Albertelli si
costituiscono in assemblea permanente contro l’articolo 3 della legge
di stabilità 2013, con lo scopo di promuovere la costituzione di una
rete di scuole romane che vogliano impegnarsi in questa direzione,
avviare una serie di iniziative che coinvolgano studenti e genitori,
distribuire materiale informativo ed esporre una serie di segni che
rendano visibile la loro protesta.È in gioco la dignità
dell’insegnante, la civiltà del lavoro, il bene comune della scuola e
il ruolo della cultura nella società. I docenti del Liceo Albertelli
sono donne e uomini liberi che difenderanno tutto questo.
I docenti del Liceo Pilo Albertelli
|
|