
Cari prof, sporcatevi le mani. Non solo d’inchiostro
Data: Giovedì, 18 ottobre 2012 ore 06:45:00 CEST Argomento: Rassegna stampa
Il ministro
Profumo è bravo a fare gesti di solidarietà. Peccato che,
meschinamente, non li faccia di persona, ma li faccia fare ad altri.
Parlo del sofisma col quale il ministro ha annunciato la sua proposta
di aumentare ai professori, dal prossimo anno scolastico, l'orario
settimanale. Dalle 18 ore attuali alle 24 di docenza in classe. Come
per altro avviene già per i docenti della scuola primaria. Per la
precisione, 22 ore frontali sulla classe e due ore di programmazione
settimanale di team. Di fronte a questa possibilità si è assistito a un
effluvio di lettere ai giornali. Tra le più belle, appassionate e
argomentate, segnalo la lettera al ministro Profumo della prof.
Mariangela Calateo Vaglio, nel suo blog sull’Espresso intitolato «Non volevo fare la prof».
Un governo che d'imperio minaccia di stracciare un contratto di lavoro
per imporne un altro, senza contrattazione, compie un atto gravissimo.
Ogni commento è superfluo: siamo alle barbarie. D'altra parte, è
interessante analizzare questa reazione docente. Per lo più scomposta,
occorre dirlo. Spesso la sacrosanta alzata di scudi delle prof
assomigliava a chi improvvisamente si svegliasse da anni di letargo.
Non voler passare da 18 a 24 ore settimanali, se non si spiega bene,
rischia difficile da comprendere da un'opinione pubblica addestrata per
anni da media e politici all'esercizio delle denigrazione della scuola
pubblica e dei suoi docenti, senza che la maggioranza di quest'ultimi,
fino ad ora, abbia sentito l’esigenza di scrivere lettere ai giornali e
protestare efficacemente. Soprattutto, mi pare che questa protesta
metta in luce le ataviche debolezze del corpo docente italiano, di gran
lunga più inerme di quello dei taxisti o dei camionisti, degli avvocati
o degli operai. Quali? La divisione. L'individualismo. L’incapacità di
far gruppo. La pochezza politica. La paura. E pur prendendomi
ugualmente del maschilista, non credo che questo accada perché la
maggior parte è femminile. Se si confrontano i livelli di indignazione
con i numeri della partecipazione dei docenti, per esempio al recente
sciopero della scuola della Cgil, la latitanza politica - in senso
partecipativo, non di appartenenza a un sindacato o a un partito - è
lampante. La responsabilità di quanto sta accadendo è legata anche a
quanto i docenti hanno lasciato fare. Alla diffidenza verso gli
scioperi che ha la stragrande maggioranza. All’estrema diligenza con la
quale avviene ogni loro forma di protesta e di lotta. Occorre ricordare
loro - ricordarci - che la scuola che si trovano a lavorare ora, non è
sempre stata così, ma è il frutto di lotte di anni e anni che tanti -
docenti, genitori, studenti, sindacati, politici - hanno fatto prima di
loro senza guardare al loro solo particolare. E in questo periodo, se i
diritti non vengono salvaguardati, non avviene una loro manutenzione,
semplicemente vengono tolti. Gli ultimi due governi lo hanno mostrato
chiaramente: non intendono dialogare con i docenti né con gli studenti,
ma fare quello che vogliono passando sulle teste di tutti. Se si teme
di perdere cento euro perché si aderisce a uno sciopero, se ne
subiscano poi le conseguenze senza protestare troppo. Non è tempo di
belle lettere ai giornali, ma di fatti, di prese di posizioni forti che
da decenni mancano nella scuola italiana. Occorre sporcarsi le mani non
solo d’inchiostro, ma organizzando una seria protesta. Magari
perdendoci anche più di sei ore settimanali. Gratis. Altrimenti qualcun
altro ve ne farà fare gratis anche molte più di sei.
Giuseppe
Caliceti - Il Manifesto
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