E’ uscito il
16/10/2012, sul quotidiano Il manifesto, un
interessante articolo firmato da Giuseppe Caliceti, che offre una
prospettiva controcorrente, rispetto alla polemica sull’aumento
dell’orario di lavoro dei docenti, contenuto nella Legge di stabilità
2013. Il titolo dell’articolo (“Cari Prof: sporcatevi le mani. Non solo
d’inchiostro“) fa riferimento alle numerose
lettere di protesta, sicuramente sacrosante, che giungono alle
redazioni di giornali e siti web, scritte da docenti indignati e
arrabbiati: un’azione giudicata sterile. La classe
docente, il mondo della scuola, è pur vero, non sono stati
interlocutori ascoltati e rispettati, dai governi della destra (così
come da questo governo “tecnico”); ma l’atteggiamento complessivo,
secondo il commentatore, non sarebbe stato mai di opposizione ferma,
intransigente, militante, a difesa di un sistema di valori e diritti
che era stato faticosamente messo insieme nei decenni precedenti,
attraverso le lotte di generazioni di docenti e studenti. Sempre per
l’articolista del Manifesto, una cartina di tornasole dell’insipienza
dei docenti italiani è costituita dalla bassissima partecipazione
all’ultimo sciopero indetto dalla FLC CGIL.
Su quest’ultimo punto, onestamente, dissentiamo dal lucido
articolista: ci sono stati scioperi e varie iniziative di massa, in
questi ultimi 15 anni, piuttosto partecipati; così come sono state
innumerevoli le occasioni di pubblico dibattito in cui il mondo della
scuola (docenti, studenti, famiglie) è riuscito ad accendere i
riflettori sullo stato inadeguato del nostro sistema educativo. Ci
sembrano poi ingenerose le accuse, formulate
nell’articolo, di “pochezza politica“, “paura“, “individualismo“,
viste come “ataviche debolezze del corpo docente italiano“.
E’ però pur vero,
che con la sua ultima proposta, il ministro ed il governo ci
hanno stretti all’angolo: ancora una volta! E qui ha
ragione pienamente l’articolista del Manifesto quando afferma:
“Non voler passare da 18 a 24 ore settimanali, se non si
spiega bene, rischia difficile da comprendere da un’opinione pubblica
addestrata per anni da media e politici all’esercizio della
denigrazione della scuola pubblica e dei suoi docenti“.
Che fare, dunque? Certo non limitarsi a macchiarsi le mani
d’inchiostro, firmando solo petizioni e scrivendo lettere
infuocate. Ma, a nostro avviso, non ha neppure senso
l’ennesimo sciopero, sia pur generale, già indetto dai
sindacati – al quale, ovviamente, parteciperemo anche noi.
Si dirà che c’è da dare subito una risposta ferma, uno stop
all’incredibile proposta governativa: da qui, lo sciopero. Forse è
vero, se non altro per affermare alcuni principi di diritto: i
contratti non sono carta straccia, il lavoro si paga! E tuttavia, a nostro avviso, è
ancora un combattere stretti nell’angolo.
Perché il vero problema,
come ha affermato il noto pedagogista Benedetto
Vertecchi (non a caso, inascoltato da un ventennio…), è
fare capire all’opinione pubblica, che “se manca un progetto è
inutile cambiare orario“! Ecco il problema: qual è il progetto educativo
per cui si battono i docenti italiani? Diciamocelo
onestamente: la lotta politica e sindacale degli ultimi 15 anni, dalla
Moratti in giù, è sempre stata di “controbattuta”, perché dettata
dall’agenda governativa. E del resto, nessuna forza politica
d’opposizione ha mai formalizzato un credibile e complessivo progetto,
capace di superare l’attuale stato di cose.
Ne è derivata una
battaglia di conservazione, di difesa addirittura dello status quo
e come tale, purtroppo, continua ad essere vista dall’opinione
pubblica, nel momento in cui l’intero mondo del lavoro viene messo in
scacco dalla crisi e dalle misure governative escogitate per fare
subito cassa.
Allo sciopero si andrà, sicuramente, sarà molto partecipato e
probabilmente si riuscirà a bloccare la proposta dell’aumento gratuito
dell’orario di lavoro. Ma si tratterà solo di un breve respiro, in
attesta del prossimo pugno in faccia. Le forze politiche che saranno
capaci di bloccare l’assurda proposta governativa, passeranno a
riscuotere il loro credito alle prossime elezioni, ma di un piano
educativo per il nostro paese non si parlerà nemmeno!
Ecco allora come sporcarsi per bene le mani:
elaborare un progetto
educativo nazionale, nuovo, che guardi al futuro, senza
paura e che rinnovi, assicurandone l’affermazione, l’idea stessa di
scuola pubblica. I
docenti escano dall’angolo e incalzino i loro partiti o movimenti di
riferimento a darsi da fare: il paese ha bisogno di una
scuola migliore e non può più attendere!
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