Per l'adozione di un libro di testo
Data: Domenica, 07 ottobre 2012 ore 21:15:31 CEST Argomento: Redazione
1898. Il 21 ottobre,
con un telegramma, il ministero della pubblica istruzione offre un
incarico di filosofia nel R. Liceo Mario Pagano di Campobasso a
Giovanni Gentile. Preside e colleghi accolgono il nuovo collega,
già in fama di studioso particolarmente serio e competente
nella sua disciplina, con grande cortesia e rispetto. Il giovane
insegnante, destinato a diventare un intellettuale di punta,
insieme con il liberale Benedetto Croce, nel rinnovamento della
cultura italiana prima della grande guerra e,
successivamente, il filosofo del "regime" di Mussolini, aveva
allora poco meno di 24 anni, e non era affatto di carattere
accomodante. Ne dette chiara prova alla prima riunione del collegio
docenti.
Occorreva scegliere un libro di testo e Gentile decise che si
sarebbe avvalso delle lezioni di filosofia ad uso dei licei del
filosofo neokantiano Francesco Fiorentino. Ma la scelta provocò una
piccola crisi perché l’insegnante dell’anno precedente , non
credendosi prossimo alla partenza, aveva consigliato agli studenti
l’acquisto del Corso elementare di filosofia di Carlo
Cantoni, apparso a Milano alla fine degli anni settanta. Il
libraio si era premurato di fare venire dalla città le copie
necessarie e alcuni ragazzi avevano già acquistato la loro.
Imbarazzato, il preside raccomandò a Gentile di non cambiare il testo
o, almeno, di adottare il Fiorentino per gli studenti del primo anno
lasciando agli altri il Cantoni su cui avevano cominciato il
programma. Perorò, persino, il libraio la propria causa
per scongiurare la scelta del Fiorentino che avrebbe
provocato grossi danni al suo già misero commercio. I professori
presero garbatamente le difese del libraio. Ma Gentile restava fermo
sulle ragioni della sua scelta. Il preside capì, e mise la questione
all’ordine del giorno d’una riunione che si sarebbe tenuta l’indomani
per definire il programma didattico. E l’indomani,
presa "coscienza nitidissima" del suo dovere, Gentile
ritornò all’attacco addirittura con la lettura di una memoria scritta
la sera precedente e intesa a fissare il suo programma ch’era,
soprattutto, di ordine pedagogico. Il libro del Cantoni era sorpassato
e andava sostituito; secondo Gentile, fedele alla lezione
del Vico e di Hegel, Cantoni aveva scritto un pessimo manuale a cui si
doveva la decadenza della filosofia nei licei italiani. Mettere quel
libro nelle mani dei giovani sarebbe stato diseducante. Gentile
affrontava così, con testarda risolutezza, all’inizio della sua
carriera di docente, il suo primo problema d’ordine pedagogico, e
la prima delle sue tante battaglie nel mondo della scuola.
In quella sua memoria pedagogica per i colleghi del liceo "Mario
Pagano" di Campobasso, scrisse : "Io credo (…) che fine precipuo del
mio insegnamento debba essere non tanto insegnare nozioni, elencare
cose e descrivere la natura, come se la verità potesse esistere
fuori dell’uomo, quanto, piuttosto, l’educazione di una forma;
non la produzione di un contenuto mentale, ma una
disciplina scientifica del raziocinio e delle energie pratiche degli
alunni, più che un sagace apprendimento di certi speciali
gruppi di conoscenze”.
Era il documento iniziale di una battaglia per l’insegnamento della
filosofia nei licei che sarà il tema ricorrente della sua vita di
"riformatore", del filosofo dell’idealismo assoluto.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
n.b. L’autore della presente nota si
è servito del libro di Sergio Romano : Giovanni Gentile ,
la filosofia al potere. Ed, Tascabili Bompiani,1990.
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