Caro Ministro, le religioni in senso multietnico le faccia insegnare alla geografia
Data: Martedì, 02 ottobre 2012 ore 06:00:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Oggi (25/09) il ministro dell’Istruzione, Profumo, ha detto che occorre rivedere i programmi di religione e di geografia in senso multietnico e, conseguentemente, multiculturale. Va dato atto a Profumo di avere posto un problema importante. L’accostamento fra le due materie non è casuale e non solo perché la geografia da molto tempo ha posto i temi delle migrazioni, della multiculturalità e dell’intercultura al centro delle proprie ricerche e delle proprie riflessioni sul valore dell’educazione geografica. 
Infatti, non mi pare che sia ancora stato rilevato, la geografia è l’unica materia scolastica che parla di religioni, al plurale e in termini non dottrinali, come espressioni culturali che connotano e diversificano le culture, i paesaggi e molte consuetudini delle diverse regioni del mondo. Inoltre, è ancora la geografia a far notare, quando sviluppa la geopolitica, che le religioni sono a volte causa di conflitti, di tensioni e di contese territoriali. Questi temi si trovano trattati nella maggioranza dei manuali scolastici, e sarebbe una grave carenza se così non fosse. 

La prevedibile levata di scudi, a difesa dell’ora di religione così com’è, non lascia pensare che i tempi siano pronti a cambiare l’ora di religione in ora di religioni. Va suggerito allora al Ministro di considerare la possibilità di offrire più spazio orario al punto di vista della geografia, l’unica disciplina che già oggi nella scuola parla di religioni in senso multiculturale, a scala planetaria, scientificamente, senza implicazioni confessionali, e che lo fa per educare alla pluralità delle culture e delle etnie del mondo, sempre più frequentemente compresenti nello stesso spazio di vita, anche nella realtà del territorio italiano.  
Si sa che il ministro Profumo preferisce la letteratura scientifica internazionale, in inglese, a quella italiana: bisogna internazionalizzarsi. Fa piacere, perché la conferma di quanto appena affermato la troverà facilmente sia su importanti riviste geografiche internazionali sia aprendo qualsiasi manuale accademico di geografia anglosassone (alleghiamo la copertina di una monografia recente), mentre molte riflessioni su geografia, cittadinanza e intercultura le troverà sui testi dedicati all’educazione geografica.  
Parta, magari, dalla International Charter on Geographical Education presentata dall’Unione geografica Internazionale nel 1992, dove già si afferma che la geografia serve per arrivare alla comprensione delle “diverse modalità di formazione di territori in base differenti valori culturali, credenze religiose, tecniche, sistemi economici e politici (…)” e della “diversità dei popoli e delle società sulla Terra, al fine di apprezzare la ricchezza culturale dell’umanità”.

P.S. Per i lettori: aiutate a condividere e a far circolare questo commento: la strada per arrivare al Ministro e ai tecnici del Miur è molto lunga, come si sa, non in senso lineare, ma in senso culturale. Ma sarebbe bello se intanto arrivasse almeno a qualche docente, a qualche dirigente scolastico, a qualcuno che si occupa di intercultura e di questi temi: da cosa nasce cosa, e il valore educativo della geografia è ancora tutto da scoprire.

Cristiano Giorda, Università di Torino
Componente Direttivo Nazionale Aiig





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