L'amore fede che fa pių lieve vivere e morire
Data: Lunedė, 03 settembre 2012 ore 23:38:43 CEST
Argomento: Redazione


Dallachiesa - Setti Carraro"Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli".

Sono passati 30 anni dall' eccidio di Palermo, dove persero la vita Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo, uccisi in un agguato di mafia. Tutte le pagine oggi lo ricordano. Pochi sanno chi era quella donna al suo fianco, poche notizie e, l'oracolo onnisciente google non ci regala molto. Di lei sappiamo che aveva studiato per fare l'infermiera, che si dedicava al volontariato con la Crocerossa, che apparteneva alla buona borghesia di Milano, che si era dovuta imporre con tutta  la forza per sposare un uomo più grande di lei. Aveva scelto per compagno un uomo che rischiava ogni secondo la vita. Lei, ne era consapovole e,  sapeva di rischiare la vita per il semplice fatto di essergli moglie. Ma lo amava, si amavano. Era una bella storia, quella di Carlo ed Emanuela. Sono morti insieme, uno vicino all' altro, lei al volante, lui nel sedile accanto.
 Una morte terribile per il Generale, morire insieme a colei che aveva donato, con il suo amore e la sua giovinezza, momenti di una rara quotidianità domestica, nella difficile vita di un uomo “tutto d’un pezzo”, come si diceva di lui, sempre pronto a prendere le misure della morte.
Emanuela Setti Carraro, era una donna innamorata, una donna coraggiosa che aveva lottato per poter scegliere di vivere accanto a Carlo Alberto, si era dovuta imporre al perbenismo della famiglia. Per lui lasciò un futuro sicuro, protetto, ovattato, per trasferirsi a Palermo. Si erano sposati il 12 luglio 1982. Lei aveva poco più 30 anni, si imbarcò con passione in questa storia d’amore, che disegnò definitivamente la sua vita. Lei, l'unica sempre accanto, nella solitudine blindata dei Cento giorni a Palermo.
La notte del 3 settembre, Emanuela venne  colpita per prima dalle raffiche mortali di kalashnikov, mentre Carlo Alberto, fu trovato abbracciato al suo corpo, probabilmente in un ultimo quanto inutile tentativo di proteggerla.

Preferisco fissare il ricordo triste di quanto accaduto, senza ricorrere alla cronistoria di eroi e martiri, voglio fissarne il ricordo a quell'ultimo atto d'amore, di protezione, di calore umano e di grazia, piuttosto, che nel freddo ricordo fatto di morte e violenza, di ferocia criminale che nega e annienta ogni traccia di umanità.

Giusi Rasà

giunir@gmail.com





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