I nuovi rischi del lavoro precario
Data: Domenica, 26 agosto 2012 ore 15:20:32 CEST Argomento: Rassegna stampa
Tutele e
barriere a un mese dall'entrata in vigore della riforma Fornero - ROMA
- Ha poco più di un mese di vita, è entrata in vigore il 18 luglio. Un
tempo breve, caduto per di più nel cuore dell'estate, quando tutto
rallenta e la gran parte delle decisioni viene rinviata a settembre.
Eppure si vedono già i primi effetti della riforma del mercato del
lavoro. Sia negativi, come la difficoltà di rinnovare i contratti a
termine, sia positivi, come la decisione presa da alcune aziende di
stabilizzare i precari. Nei piani del governo quei quattro lunghissimi
articoli dovrebbero aiutare i giovani a trovare un'occupazione, impresa
non facile visto che sotto i 24 anni è senza lavoro un italiano su tre.
E allo stesso tempo costruire un argine contro la cosiddetta
«flessibilità cattiva», quella selva di 40 tipi diversi di contratto
che in molti casi ha trasformato una sacrosanta esigenza del sistema
produttivo nel problema numero uno di una generazione intera. Dalla
flessibilità alla flessibilità cattiva, appunto, e quindi alla
precarietà. Per questo la riforma Fornero è stata costruita con
l'obiettivo di frenare i contratti a termine, quelli di collaborazione,
le partite Iva e tutte quelle forma di precarietà che l'anno scorso
hanno coperto quasi 7 assunzioni su dieci. Indicando come principale
canale d'ingresso l'apprendistato, un misto fra lavoro e studio che
impegna l'azienda a formare un giovane ottenendo in cambio un generoso
taglio dei contributi da pagare. Il passaggio non è semplice. Perché è
vero che la riforma dovrebbe favorire la crescita, parola magica
contenuta anche nel titolo della legge. Ma purtroppo è vero anche il
contrario: senza crescita, senza l'economia che gira, è difficile
spingere un imprenditore ad assumere. Sia a termine che con un
contratto stabile, sia ad agosto che a settembre. Il primo nodo è
venuto al pettine da «mamma Rai». Più di un terzo delle persone che
lavorano nei programmi di intrattenimento e approfondimento sono a
partita Iva. Più di due mila persone, molte delle quali andrebbero
regolarizzate, visto che la riforma fa scattare l'assunzione se l'80%
del reddito arriva dalla stessa azienda e sarebbe quindi da considerare
un dipendente mascherato. L'azienda studia la possibilità di assumerli
sì, ma con contratti a termine. E loro, gli «esterni» Rai, sono pronti
a fare causa. Anche perché i contratti a termine sono un approdo ancora
meno sicuro che in passato. Dice la riforma che il primo non può durare
più di un anno e non è prorogabile, anche se è stato eliminato
l'obbligo di indicarne la motivazione. E poi sono state allungate le
pause tra un contratto e l'altro, fino a 90 giorni. Ed è qui il vero
problema. Perché, almeno per il momento, a venire galla non è tanto la
trasformazione dei vecchi contratti a termine in qualcosa di più
stabile. Ma, più semplicemente, la difficoltà a rinnovare quelli
esistenti. Un problema che sta emergendo in mondi fra loro anche
lontani, dai patronati all'Aspen Institute Italia, dalle compagnie
aeree, dove ormai i cassintegrati sono più numerosi dei lavoratori a
termine, fino alle case editrici. In quest'ultimo settore, avverte
Massimo Cestaro, segretario della Slc Cgil, il «rischio è che tutti i
contratti a termine vengano trasformati in partite Iva. Torneremmo
indietro, insomma. E forse sarebbe stato meglio prevedere una maggiore
gradualità». Chi la gradualità se l'è presa da solo è il settore
simbolo del precariato, quello dei call center . Qui il problema non
riguarda gli operatori che ricevono le chiamate, quasi tutti
stabilizzati nel 2007, ma le società che fanno vendita o marketing,
quasi 40 mila lavoratori. «Proprio nelle ultime settimane prima
dell'approvazione della legge - racconta Michele Azzola, anche lui Cgil
- quasi tutte le società hanno prorogato di tre o sei mesi i contatti
in essere». È successo a Taranto, a Rende, è successo ovunque. Hanno
preso tempo ma il problema è solo rinviato: cosa faranno tra ottobre e
dicembre quando anche le proroghe arriveranno a scadenza? C'è poi il
«blocco» dei contratti a progetto denunciato dai consulenti del lavoro
con un sondaggio a campione pubblicato nei giorni scorsi da Italia oggi
. È vero che la riforma ha cercato di semplificare un sistema «troppo
interpretabile», come disse lo stesso Mario Monti, e proprio questo
minor margine di manovra può non piacere ad alcuni consulenti. Ma anche
il loro allarme è un segnale. Ci sono anche casi virtuosi, però. Primo
fra tutti quello della Golden Lady, l'azienda mantovana che produce
calze. Il 18 luglio, appena due giorni dopo l'entrata in vigore della
riforma, l'azienda ha firmato un accordo con i sindacati che prevede
l'assunzione a tempo indeterminato, entro un anno, di 1.200 persone che
oggi lavorano nei negozi come associati in partecipazione. Si tratta di
un contratto flessibile che può nascondere un rapporto dipendente e per
questo viene cancellato dalla riforma. «L'accordo Golden Lady - dice
Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl - è un modello positivo
anche se aspettiamo che dalle parole si passi ai fatti». Comunque il
caso ha attirato l'attenzione del ministro Fornero che a settembre
incontrerà il management dell'azienda. Un riconoscimento, forse. E
anche l'occasione per capire come stimolare l'imitazione. In realtà
qualche altro piccolo segnale positivo c'è, ma siamo nel campo degli
effetti collaterali. Ai primi di agosto il Credito valtellinese ha
chiuso un accordo di ristrutturazione che prevede sì 150 esuberi ma
anche l'assunzione definitiva di un centinaio di precari. Poco prima le
Poste hanno firmato un accordo per stabilizzare più di 4 mila precari
che avevano già fatto causa all'azienda con buone probabilità di
vittoria. Dalla riforma insomma è arrivata la spinta finale, ma sono
passi che avrebbero fatto comunque. Per avere un quadro completo
bisogna aspettare ancora. E per il momento occorre accontentarsi delle
previsioni. «Alla fine - dice Guglielmo Loy, segretario confederale
della Uil - quello a termine resterà il contratto prevalente. Magari
accelerando il turnover dei precari: non rinnovo il contatto a chi è
dentro ma prendo un'altra persona e ricomincio da capo». Non è una
sorpresa visto le critiche che arrivarono nei giorni dell'approvazione,
ma anche in Confindustria si dicono scettici. Specie sul reale decollo
dell'apprendistato. Anche se molto conveniente per le agevolazioni sui
contributi - sostengono gli industriali - quel tipo di contratto sarà
usato poco. E questo perché non in tutte le zone di Italia e non per
tutte le figure professionali viene garantita quella formazione in aula
a carico del settore pubblico che dovrebbe completare la formazione sul
campo. In passato è successo spesso che al termine del contratto l'Inps
chiedesse alle aziende i maggiori contributi proprio perché la
formazione in aula non era stata fatta. Gli imprenditori dicono che
anche dopo la riforma rischiano di pagare per colpe non loro. Di questi
e di tutti i problemi della riforma si occuperà quell'attività di
monitoraggio prevista dalla stessa legge e che il governo ha inserito
tra le «azioni in programma» nell'agenda per la crescita, discussa due
giorni fa. Ci vorranno mesi per misurare il reale impatto delle nuove
norme sull'economia italiana, per capire se l'occupazione è cresciuta
oppure no, vedere se ci sono dei punti da correggere. E stavolta si
seguirà davvero il modello tedesco. A raccogliere i dati, elaborarli e
analizzarli non sarà il ministero del Welfare ma una serie di centri
studi e di ricerche, organi terzi insomma, proprio come hanno fatto in
Germania dopo la loro riforma di dieci anni fa. Il ministro Fornero ne
ha già parlato con la sua collega di Berlino, Ursula von der Leyen,
all'inizio di luglio e le procedure saranno definite nelle prossime
settimane. Nel frattempo c'è già chi segnala i primi punti da
correggere. L'ex ministro Cesare Damiano (Pd) si sofferma sui voucher ,
il lavoro a chiamata, che possono essere utilizzati anche per chi è in
cassa integrazione: «Una buona idea per aiutare chi è in difficoltà ma,
come ha denunciato la Coldiretti di Cuneo, non si capisce perché sia
applicabile solo dall'anno prossimo».
Lorenzo Salvia
www.corriere.it
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