Un piano lavoro per i giovani
Data: Mercoledì, 22 agosto 2012 ore 15:33:55 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Più che un punto di arrivo, il completamento della riforma del mercato del lavoro tramite i correttivi apportati dal decreto Sviluppo e il varo della Spending Review costituiscono un utile punto di avvio da cui i partiti dovrebbero muovere, dopo la pausa estiva, per affinare la loro agenda, in vista della staffetta tra 16ma e 17ma legislatura, ed elaborare una strategia per traghettare il Paese oltre la crisi. Dovrebbero farlo anche per recuperare credibilità davanti a cittadini sempre più sfiduciati e stanchi di non vedere ricompense oltre la siepe dei sacrifici.  La legge Fornero sul lavoro ha indubbiamente osato laddove altri avevano fallito: nel l'ammorbidimento dell'art. 18, nel riordino (con estensione di copertura) degli ammortizzatori sociali, nella revisione delle regole di utilizzo dei contratti atipici più diffusi in modo da contenerne gli abusi. Certo, il provvedimento poteva essere ancora più audace e non è esente da ambiguità che ne complicheranno o ne renderanno erratica l'applicazione (soprattutto per la smisurata discrezionalità ceduta ai giudici sui licenziamenti). Ma il Governo si è mosso nella direzione giusta, riducendo anche solo di un po' il dualismo tra insider e outsider, e assecondando così le insistenti raccomandazioni europee. Si tratta ora di proseguire con convinzione, proprio all'interno del nuovo quadro normativo, per mettere a punto strategie concrete di rilancio dell'economia reale, rimettendo al centro il lavoro, la sua qualità e l'inclusione delle categorie di cittadini che negli ultimi anni hanno visto costantemente deteriorarsi le proprie condizioni di vita. Quasi un'impresa impossibile mentre si è in recessione. Ma se si cercano ricette innovative, indirizzando oculatamente un po' delle risorse liberate dalla Spending Review a misure di crescita, qualche risultato si può ottenere. Lo spiegano bene i sostenitori del paradigma che concepisce il welfare come "investimento sociale" che ha in parte sorretto la Strategia europea per il 2020 in tema di lavoro. In questa prospettiva, si sottolinea il ruolo positivo per l'economia degli investimenti in formazione e valorizzazione del capitale umano che, se non sporadici, danno alle persone le capacità e le conoscenze adeguate per occupare i lavori che oggi sarebbero già disponibili e per creare i lavori del futuro. Le risorse destinate alla qualificazione continua, senza distinzione tra percorsi educativi e professionali, non sono più un costo netto per lo stato, se rendono "occupabili" le persone durante l'intero ciclo di vita lavorativa, e cioè in grado di attraversare senza traumi le diverse "transizioni" dalla scuola al lavoro, da un lavoro all'altro, dal lavoro alla famiglia e ritorno. Meglio se i diversi passaggi sono poi accompagnati da un sistema di tutele leggere che fanno da paracadute quando il salto da una condizione all'altra è particolarmente rischioso. Puntare sul capitale umano non è né retorico né effimero. Ma solo se lo si fa davvero e se serve a prevenire l'obsolescenza delle skills lavorative, se alimenta la capacità di produrre innovazioni, se incoraggia la propensione ad assumere rischi calcolati. Serve per combattere la piaga della disoccupazione giovanile ancora una volta messa in evidenza dall'Employment Outlook del 2012, uscito poche settimane fa. I giovani in Italia pagano più degli altri una bufera economica che sembra non avere fine. E la pagano ancora di più perché si concentrano nei lavori a termine che sono i primi a essere falcidiati quando la crisi batte duro e quelli in cui si apprende meno e in modo meno strutturato. Mentre invece dovrebbero e potrebbero proprio loro essere imprenditori pionieristici in un Paese che deve risvegliarsi prima o poi dal torpore gerontocratico che lo annichilisce. L'approccio del welfare come investimento sociale non può tuttavia essere una scelta additiva che si aggiunge, senza sostituirsi, ai programmi patchwork dei partiti. In cui non mancano mai, annodati acrobaticamente insieme, un po' di flessibilità all'americana, un po' di tutele danesi, un cenno all'efficienza dei servizi di placement svedesi e il richiamo entusiastico alle politiche familiari francesi. Tenere tutto insieme è impossibile. Scegliere è quello che la politica può e deve fare. Con audacia e spirito di responsabilità. È giunto il momento di spiegare ai cittadini la direzione in cui si intende andare. E che non sarà necessariamente lastricata di scelte impopolari. Nell'estate del 2010 Stephan Faris del Time bacchettava crudelmente l'Italia, perché aveva fatto poco sino a quel momento per reagire alla crisi. Con l'inevitabile epilogo: «It's time to cut back on la dolce vita». Nell'estate del 2012, dopo 8 mesi di cura Monti e ancora nel mezzo di una tempesta finanziaria violentissima, un po' di vita dolce non guasterebbe.
Elisabetta Gualmini
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